Le scuole aperte
banco di prova
per il Governo

L’auspicio del Capo del Governo Giuseppe Conte di riaprire le scuole secondarie in presenza da giovedì 7 gennaio non avviene certo in un clima condiviso, ma nel caos. Le preoccupazioni ci sono tutte. Basterebbe prendere in considerazione le dichiarazioni dei governatori: coro polifonico che rasenta la schizofrenia. Se il presidente della Lombardia Attilio Fontana chiede da settimane un complesso piano di ingressi scaglionati riguardanti anche i lavoratori che adoperano i mezzi pubblici, quello della Campania Vincenzo De Luca non vuole riaprire nemmeno medie ed elementari. Per il governatore del Lazio Nicola Zingaretti la data del 7 gennaio è imprudente per tutto il Paese, mentre l’emiliano Stefano Bonaccini, che è anche presidente delle Regioni, si dice pronto a ripartire. Il più ineffabile è stato il presidente della Regione Puglia Michele Emiliano che vuole affidare la decisione ai genitori, come se i genitori fossero tutti epidemiologi o esperti della Protezione civile.

Anche nel mondo politico i pareri si dividono. Il ministro dell’Educazione Lucia Azzolina preme da sempre per il rientro in classe, superata solo da Matteo Renzi, che avrebbe aperto da maggio scorso, forse anche prima, mentre Matteo Salvini dice che i suoi figli non li manderebbe a scuola. I sindacati consigliano lo slittamento della riapertura al 18 gennaio, quando l’andamento epidemiologico dovrebbe essere più chiaro. L’unica cosa certa è che nel caso – una volta aperto - si dovesse di nuovo richiudere tutto, l’effetto sarebbe devastante, perché a quel punto se ne riparlerebbe a settembre.

Nel frattempo presidi, docenti e personale scolastico si dannano continuando a fare e rifare gli orari e assicurando distanziamento, ingressi scaglionati, controlli della temperatura, ricambio dell’aria, mascherine, gel igienizzante e quant’altro.

Peccato che il problema, come è noto, non è dentro la scuola, ma fuori. Le occasioni di contagio sono i mezzi pubblici, evidentemente non sufficienti ad assicurare l’opportuno distanziamento nelle corse mattutine, nonostante i prefetti abbiamo approntato piani di emergenza già approvati dalle Regioni per scaglionare il più possibile le corse. Ma i mezzi pubblici sono quelli che sono, più di tanto non si può fare. Inoltre, come sanno tutti coloro cui capita di passare davanti agli istituti scolastici poco prima del suono della campanella, gli studenti solitamente rischiano di contagiarsi negli assembramenti che si creano fuori dagli edifici prima che si aprano i cancelli, dove si fermano in capannelli a chiacchierare, ripassare (e spesso, ahimè, a fumare). Insomma, il mondo della scuola nei confronti del Covid è come la linea «Maginot», inespugnabile, ma con un piccolo difetto: finiva in un prato belga. Ai tedeschi è bastato aggirarla per invadere la Francia. Se aggiungiamo che, come ha detto ad esempio l’epidemiologo Burioni, la variante inglese del virus pare circolare con particolare intensità nei bambini e nei ragazzi, allora ecco che la decisione di riportare gli studenti negli istituti ci pare rischiosa, se non avventata. Perché il virus aspetta fuori dalla scuola e non ci sono tamponi istantanei per tutti. Nessuno nega che la didattica a distanza crei problemi enormi: il rapporto col docente in presenza è fondamentale e vi sono disparità di «digital divide» tra chi possiede i mezzi adeguati (wi-fi, personal computer, ambienti confortevoli etc.) e chi no. Ma forse sarebbe meglio aspettare tempi migliori e più opportuni, perché la priorità – prima ancora dell’educazione per tutti - è la protezione dal virus di studenti, genitori e nonni.

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