L’Italia isolata
Un rischio attuale

L’isolamento internazionale è il pericolo che ha tenuto ostaggio l’Italia repubblicana nel corso di questi settant’anni. Fedeltà atlantica e militanza europea erano gli antidoti. Garantivano sicurezza e ruolo ad un prezzo: la rinuncia a parte della sovranità. Spiazzati da fenomeni che vanno oltre le tradizionali alleanze, globalizzazione e migrazioni su tutti, i governi italiani in questi anni hanno cercato punti di riferimento ai quali orientarsi. Lo scambio sarebbe stato sempre lo stesso: un pezzo di sovranità in cambio di sicurezza.

La delusione è stata cocente. Gli americani sono andati per la loro strada in nome di America First e gli europei hanno fatto credere che ci fosse una comunità di interessi in nome di ideali umanitari. In verità Francia, Germania e i loro alleati hanno pensato di utilizzare il mantello europeo per perseguire finalità proprie dello Stato nazionale. Nulla di male se non ci fosse l’ipocrisia di dichiararsi a voce alta paladini d’Europa. Macron nel vertice europeo di tre giorni fa ha ribadito in modo chiaro che la Francia non si considera Paese di primo approdo mentre pretende che lo sia l’Italia. A trattato di Dublino invariato una sorte di suicidio. I cosiddetti hotspot posti in territorio italiano hanno un solo significato: fare dell’Italia un mega centro di accoglienza a disposizione della buona coscienza europea. Certo, tutto ha un prezzo : anche la buona volontà. Come dire che siccome la questione del Mezzogiorno d’Italia rimane irrisolta, al governo italiano potrebbe far comodo trovare qualche elemosina in più da mettere a bilancio. I francesi hanno una sola idea in testa: mettere fuori gioco l’Italia, l’unico Paese che per grandezza economica, densità abitativa e di posizione strategica può fare ombra alla grandeur transalpina e impedire a Parigi di diventare il leader incontrastato dei Paesi mediterranei.

Una condizione imprescindibile per il governo francese per posizionarsi alla pari con la potenza tedesca. L’alleanza con la Germania ha senso solo se la Francia riesce a mantenere un ruolo non subordinato a Berlino. La mossa di Sarkozy nel 2011 di forzare la mano per attaccare la Libia di Gheddafi rientra in questo gioco. Emarginare l’Italia in un Paese ex coloniale e quindi subentrare nella gestione dei suoi giacimenti petroliferi. Il tutto in un quadro di formale amicizia e collaborazione che vede la Francia alleata dell’Italia nella Nato e cofondatrice dell’Unione europea. Macron come primo atto di politica economica del suo governo ha posto il veto al passaggio dei cantieri navali Stx di St. Nazaire a Fincantieri. Prima c’erano i sudcoreani in maggioranza, ma evidentemente non davano fastidio. Gli italiani hanno sempre reagito blandamente.

Erano stati abituati che qualcosa andava sacrificato per avere poi la condiscendenza degli alleati. Ancor oggi si legge del timore che il conto dei no pronunciati al recente vertice europeo non tarderà ad arrivare. Per esempio nella politica economica dove gli italiani hanno demandato per 700 miliardi una parte della sovranità finanziaria ai mercati internazionali. Anche questo retaggio di un passato che lasciava ad altri responsabilità che invece sono solo dello Stato. Adesso si è capito che quando Merkel va a Washington e parla di interessi europei intende quelli dell’industria automobilistica tedesca. Macron condivide con il cancelliere tedesco gli ideali umanitari. Salvo trasferirne i costi sugli altri Stati membri. Il recente vertice ha portato chiarezza: per l’Italia gli interessi nazionali possono avere un solo tutore: la Repubblica italiana.

© RIPRODUZIONE RISERVATA