Macron il leader
di un’Europa divisa

Emmanuel Macron, liberale in una terra non per liberali, è un animale politico e un tecnocrate che va maneggiato con prudente attenzione. Con il discorso di ieri a Strasburgo, il presidente francese s’è candidato di fatto alla leadership dell’europeismo, in una fase in cui questa ispirazione è ai minimi storici e mentre la stella della Merkel non brilla più come un tempo. Il leader francese, dopo la vittoria sulla Le Pen, qualche titolo in materia se l’è guadagnato. Nel difendere la sovranità europea, Macron ha usato parole severe. Ha detto, riferendosi a Paesi come l’Ungheria ma senza citarli, che «la risposta è l’autorità della democrazia, non la democrazia autoritaria», aggiungendo che gli egoismi nazionali stanno facendo emergere «una sorta di guerra civile europea».

Alla vigilia dell’incontro con la cancelliera e in vista del vertice di giugno dove in ballo c’è la discussa riforma dell’eurozona, il discorso non fa una grinza e lo slancio europeista è un richiamo ad un vecchio continente assuefatto al peggio. Capita, però, anche ai numeri uno che a parole alte non sempre corrispondano fatti coerenti. L’impronta politica di Macron è intrigante e potrebbe uscire dai confini francesi, e infatti anche pezzi del Pd seguono con interesse l’evoluzione di un modello post ideologico che ha sparigliato lo schema destra-sinistra.

Ma il leader è pur sempre il figlio prediletto di una Francia che si rappresenta come titolare di una missione universale, cioè di essere dalla parte giusta della Storia, tanto più che, con l’uscita dell’Inghilterra, sarà l’unico Paese europeo membro permanente del Consiglio di sicurezza dell’Onu e la sola potenza nucleare. Se Berlino, nel gioco europeo, è un leader riluttante, la Francia ritiene di avere buone ragioni per investire in un protagonismo che è la proiezione della Francia nel mondo, pensandosi come nazione indispensabile. Chi siede all’Eliseo sa di essere un monarca repubblicano e in cuor suo c’è un riflesso di de Gaulle. Lo sa bene l’Italia che mentre si augura di aver nella Francia un alleato prezioso sui dossier europei ha subìto il raid dei gendarmi a Bardonecchia e qualche screzio competitivo in Libia e nell’area francofona del Sahel.

La sfida di Macron a populisti ed euroscettici giunge all’indomani della neonata alleanza di Parigi e Londra con Trump e della pioggia di missili sulla Siria. Un attivismo, quello francese, non proprio felice considerando che la miglior cultura europea, quella a cui s’è richiamato nell’intervento di ieri, è alternativa alle soluzioni hard, specie se sprovviste di una cornice legale e con l’elmetto. Gli alleati non hanno apprezzato la scelta in solitudine di Macron, criticato appunto per non essersi mosso nel concerto europeo. Il francese è impegnato a ricostruire su nuove basi il motore europeo, cioè l’asse con la Germania, che dovrà dimostrare di non essere una nuova egemonia. Lo stesso presidente della Commissione, Juncker, che pure è espressione del mondo tedesco, ha sottolineato come l’Europa non si riassuma solo nel club dei due. In realtà parlare di una sola Europa è sfiorare l’astrazione. Non c’è capitolo (migrazioni, Mediterraneo, economia) su cui ci sia unità d’intenti e lo si vede in queste ore sul rinnovo delle sanzioni alla Russia. L’Est è ormai un mondo a sé, se non separato dal blocco storico, e a sua volta diviso sui rapporti da tenere con Putin. Il Nord non ne vuole sapere di allentare i vincoli dell’austerità. Il Sud è tormentato in casa: noi alle prese con il rebus del nuovo governo, la Grecia in convalescenza da default, la Spagna con il pasticcio infinito della Catalogna, la Francia in difficoltà sulle riforme interne. Nel vuoto di leadership giganteggiano il volontarismo francese e il piglio nell’iniziativa che, al di là delle migliori intenzioni, può avere pure un risvolto prosaico nelle elezioni europee del prossimo anno. In gioco ci sono il primato del centrodestra che governa tutte le principali istituzioni di Bruxelles, le prospettive di un socialismo al collasso e la cavalcata dei sovranisti. Il momento opportuno per ridare le carte, ridistribuire i consensi e riunire l’utile al necessario: la convenienza elettorale e l’integrazione europea. L’occasione per una formula ritenuta fin qui innovatrice: l’europeismo alla Macron, almeno fino a quando riuscirà a reggere le sfide di tempi non ordinari. Consapevole pure lui che i leader si demoliscono in fretta.

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