Non è tempo di elezioni
compromessi per evitarle

Per capire come andrà a finire questa «crisi» virtuale di governo in corso ormai da settimane bisogna partire da un punto fermo: nessuno vuole andare a votare anzitempo. Nessuno della maggioranza, s’intende. Non vogliono le urne i grillini che ne uscirebbero con le ossa rotte e privati delle poltrone di governo giàcchè tutti sanno che le elezioni a oggi le vincerebbe il centrodestra. E non le vogliono i democratici i quali, benchè non corrano gli stessi rischi elettorali dei pentastellati, finirebbero anch’essi quasi certamente all’opposizione e tagliati fuori della possibilità di eleggere il nuovo Capo dello Stato. Tantomeno vuole la conta Matteo Renzi il cui partito, Italia Viva, rischierebbe di non tornare in Parlamento.

Dunque, l’ipotesi «fine della legislatura» va sgombrata dal campo. Dopodiché si ragiona su come uscire da questo groviglio. Ma con un altro presupposto: la caduta del Conte-bis e la trattativa per un nuovo governo oltre ad avere esiti incertissimi porterebbe via parecchio tempo, e questo avrebbe conseguenze disastrose su vari fronti: ritardo nella presentazione dei piani per il Recovery Plan con conseguente rischio di perderli; ritardi nel piano vaccinale mentre si prospetta una terza ondata; rischio reputazionale dell’Italia durante la presidenza di turno del G20; rischio di aumento dello spread con conseguenze disastrose sul debito pubblico; indebolimento del sistema di difesa delle imprese strategiche esposte alle scalate ostili dall’estero. Tutte queste prospettive i protagonisti della scena le conoscono perfettamente: da chi ha scatenato la rissa (Renzi) a chi se ne deve difendere (Conte) da chi pensa dietro le quinte di trarne vantaggio politico (Di Maio, Zingaretti) a chi eventualmente dovrebbe ricoprire il ruolo di salvatore della Patria (Draghi).

Il risultato di queste considerazioni, se la politica italiana riesce ancora a seguire una logica, è che si dovrebbe andare verso una crisi «pilotata», quindi senza passaggi parlamentari, che dovrebbe sfociare in un rimpasto di ministeri e portare anche alla riedizione della figura dei vicepremier (Pd e M5S) con il compito di bilanciare il presenzialismo dilagante di Conte e la sua pretesa di continuare a governare in solitaria. Quanto a Renzi verrebbe soddisfatto con qualche poltrona pesante come la Difesa o gli Esteri per lo stesso leader. Conte dovrebbe accettare una simile soluzione per non correre il rischio di essere sostituito in corsa: pagherebbe il prezzo, oltre a quello di essere sorvegliato da due vice, di ricontrattare con i partiti i progetti da presentare all’Europa per il Recovery Plan e di cedere finalmente la delega ai servizi segreti che finora si è tenuta stretta. Di fatto l’agenzia centralizzata «per la Cyber-security» che Conte aveva progettato, è giù sparita dalle carte.

Finirà così, con un compromesso che accontenti tutti senza dare ad alcuno la patente del vincitore? Allo stato è la soluzione meno rischiosa per i contendenti ed è probabilmente anche quella che riesce a placare le ansie del Capo dello Stato preoccupatissimo di vedersi aprire un periodo di instabilità politica proprio mentre servirebbe, al contrario, il massimo della compattezza. Se viceversa si andasse allo scontro in aula al Senato tra Conte e Renzi, lo show down conterebbe pericoli per tutti (da ultimo le temute elezioni anticipate) dal momento che si è subito bloccato il tentativo di sostituire i voti renziani con qualche «responsabile» di varia provenienza. Lo stesso Berlusconi ha tenuto a chiarire che da Forza Italia non potrebbe venire nessun aiuto, né sopra né sotto il banco.

Dunque, il compromesso si impone. O almeno: si imporrebbe. Altrimenti c’è sempre Mario Draghi.

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