Occupazione, non c’è solo il valore economico

LAVORO. Lavoro, giovani, futuro, speranza! Sarebbe bello potessimo associare con naturalezza queste quattro parole.

Lavoro, giovani, futuro, speranza! Sarebbe bello potessimo associare con naturalezza queste quattro parole. Ci accorgiamo che ancora non è così e che c’è bisogno di tanto impegno per mettere e rimettere a fuoco il necessario cambiamento perché il lavoro sia «lavoro umano» per tutti ed in particolare per i giovani. Nel messaggio per la Festa dei lavoratori «Giovani e lavoro per nutrire la speranza», i vescovi affermano «dobbiamo interrogarci su quanto la nostra società, le nostre istituzioni, le nostre comunità investono per dare prospettive di presente e di futuro ai giovani.

Essi pagano il conto di un modello culturale che non promuove a sufficienza la formazione, fatica ad accompagnarli nei passi decisivi della vita e non riesce a offrire motivi di speranza». E aggiungono: «Conosciamo bene l’impatto sulla vita ordinaria di tale situazione: vengono rimandate le scelte di vita e si rimuove dall’orizzonte futuro la generazione di figli». Sono parole severe, ma che in questo tempo dove, almeno dalle nostre parti, pare che il lavoro proprio non manchi, ci interrogano su come i giovani percepiscono, sognano, vivono il lavoro. Ci chiediamo per loro e insieme a loro in che modo il lavoro rilancia con speranza la loro vita.

Il concetto di benessere personale rispetto a quello di benessere lavorativo spesso non coincidono nel loro sentire. La motivazione di un lavoro che alimenta speranza e futuro non è solo economica; c’è il valore del tempo e delle relazioni, il desiderio e la ricerca di condizioni che valorizzino competenze e capacità, di costruire e vivere relazioni buone, l’esigenza inderogabile di tutele ed attenzione alla vita delle lavoratrici e lavoratori nelle sue molteplici dimensioni. I giovani cercano un lavoro che li faccia crescere, e non solo nella dimensione dalla progressione canonica di carriera, ma è un crescere a 360° come persone che lavorano «per e con».

Non c’è da stupirsi, che anche da noi, sia in aumento il «quiet quitting», ovvero la tendenza a lavorare il giusto, rifiutandosi di fare straordinari o aderire a progetti che non rientrano nell’orario; o quello del «great resignation» che aumenta il cambio di lavoro anche in tempi brevi qualora si trovino occasioni che offrono maggiori condizioni. Certamente ritengo molto riduttivo affermare che «i giovani non hanno voglia di lavorare», o non sono disposti alla giusta fatica, forse invece c’è da pensare che non ci si accontenta più di lavorare e basta. Assieme a questo credo non sia banale sottolineare che sicuramente i giovani non vogliono essere sottopagati.

Le grandi ricerche a livello nazionale ribadiscono che quasi la metà di loro, lavora con contratti atipici o partita Iva, e che quasi un giovane su tre non ha ancora avuto un contratto che gli dia una vera sicurezza sul futuro. Quasi la metà dei giovani che lavorano ritiene di essere pagato troppo poco. Basta andare a vedere gli ultimi dati raccolti dai sindacati per accorgersi che, almeno dalle nostre parti (nel resto dell’Italia è anche peggio), per quattro giovani su 10 la retribuzione mensile è inferiore a 1000 euro, solo un terzo riceve una retribuzione più dignitosa compresa tra 1000 e 1500 euro, mentre meno di un quarto supera i 1500 euro netti mensili. Il tutto con un significativo gap di genere tra uomini e le donne. Senza ostinarsi troppo su dati e numeri, ci accorgiamo che quello che viene a modificarsi è che giustamente il concetto di «gavetta» non può più coincidere con quello di sfruttamento. È vero che ci sono giovani che si adagiano, magari aiutati dai genitori che li viziano o per le tante fragilità in questi tempi di incertezze e disorientamento diffuso, ma sono in tanti quelli che vivono il reale problema del «lavoro povero», che inevitabilmente blinda sguardi buoni verso il futuro. Nello spirito del cammino sinodale ed attraverso le scelte che rilanciano le Comunità Eclesiali Territoriali, desideriamo anche noi, Chiesa di Bergamo, condividere pensieri e azioni che dentro al lavoro rilancino, inneschino, sostengano, percorsi di vera dignità, attraverso il lavoro. Con semplicità, ma grande convinzione, nei tanti e diversificati appuntamenti che anche nella nostra diocesi andiamo a proporre assieme a istituzioni, sindacati, università e associazioni, desideriamo fare nostra questa preoccupazione e riflessione nel tentativo di innescare e sostenere processi che combattano diseguaglianze ed emarginazione dei giovani, dai mondi e dalle possibili scelte vitali.

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