Paesi in ginocchio,
rimorsi e altruismi

In due ore la pioggia di un mese. E una quantità di grandine che nemmeno il caldo appiccicoso di ieri ha sciolto. Sembrava neve. Assurdo. L’altra sera nell’orario di Italia-Belgio sono piombati su Val Cavallina e Basso lago 83 millimetri di acqua. La media di giugno (tutto giugno) è di 120. Nei primi 13 giorni ne sono venuti giù 240: il doppio. Da qui al 30 cosa succederà?

Su ogni telefonino c’è un’app del meteo, lo sappiamo cosa succederà: chiamano acqua, tanta e ogni giorno. Non per menar gramo, ma l’estate 2014 ce la ricordiamo tutti. Questo tempo non è più un’eccezione. Non raccontiamocela più. Riepilogando l’ultima settimana: mercoledì scorso bomba d’acqua sulla media Val Seriana. Frane, fango, esondazioni, case allagate, sfollati. Due giorni di tregua, e sabato mattina tocca alla Val Calepio da Grumello al lago: un disastro, fiumi in strada, piazze che nemmeno Venezia, il sistema della regimazione delle acque meteoriche - la rete dei tombini - completamente saltato sotto la furia dei nubifragi. Nelle case, ovunque, gente con gli stivaloni a i piedi e gli spazzettoni in mano a spalar fango.A Grumello una signora, Norma Alghisi, per «salvare» le nozze a un’amica (era la testimone) è dovuta scendere dal balcone, con una scala esterna appoggiata dai vicini: nel cortile sotto c’era troppo fango, non si poteva uscire.

Lunedì sera altra chiamata alla macchina del pronto intervento. A Sarnico - orario partita degli Europei - Francesco Morzenti coordinava l’ultima riunione con i suoi (un’ottantina) per stabilire chi fa cosa da sabato (apre la passerella di Christo, previsti mezzo milione di visitatori uguale un’invasione, bella ma è invasione). A metà breafing, nuova allerta: tutti fuori sotto il diluvio sparsi sui vari fronti da Foresto a Sarnico. Tracimano i terreni a monte già fradici d’acqua, si gonfiano i piccoli affluenti dell’Uria e del Guerna, a far da tappo sotto i ponti vengono giù tronchi grandi come utilitarie e si «alleano» con la grandine che si compatta. L’onda di piena di fiumi e torrenti scende facendosi strada dove può. Un disastro. In Val Cavallina uguale. Dove scende la «valletta del paradiso», a Borgo di Terzo, neanche a dirlo, un inferno: un metro di acqua e fango nelle case. Più su, a Berzo San Fermo, cinque famiglie isolate. Alle 17, ieri, nuova allerta, ricomincia a piovere su mezza provincia a est, arriva il monsone (chiamiamolo, lo dicono gli esperti, con il suo nome e cognome). Non è più un’emergenza. Non c’è più da ragionare in termini di metterci toppe, conte dei danni, qualche richiesta di risarcimento a qualche ente.

In tutto questo, nel bel mezzo di questa (non) emergenza, c’è bisogno di una schiarita. C’è bisogno di sedersi un attimo e metterci il punto invece delle toppe. E c’è bisogno che lo si faccia tutti noi (anche qui, tutto maiuscolo). Noi prima anche degli «enti». Noi: smettiamola di fare e brigare per costruire dove non si può (o di non controllare quando lo fanno altri), dove il rischio idrogeologico è elevato. E lo facciamo. Con le complicità, alla fine la spuntiamo. Costruiamo e poi, un giorno, finiamo nel fango.

Gli enti: con i pochi soldi che restano in giro, per favore basta casa delle feste, della musica, dello sport, del prodotto tipico, della musica per i giovani e di quella per i vecchi, maxi palazzetti per micro paesi, campi di calcio come se...piovesse. Ci sta, per carità. Ma adesso c’è (maiuscolo) un’altra priorità. Basta opere che si vedono (e che poi si faticano a mantenere, tra l’altro), a scapito di quelle che si vedono meno ma servono di più.Poi tutti noi in prima persona, uno per uno, dobbiamo chiedere e pretendere che quel che resta nelle casse da Roma fino alle periferie dell’impero vada speso affinché non ci capiti di finire nel fango. Noi, le nostre case, le nostre cose. Si può fare. E senza dover sempre rivoltarci le maniche ogni volta, noi e quei fantastici volontari che ci ritroviamo in Bergamasca.

Si può (si deve) essere lungimiranti. Noi a far da pungolo a enti e politici. Ce ne sono senz’altro tanti di esempi di lungimiranza, eccone uno. A Tavernola nel 1906 metà paese scivola nel lago. Nel 1950 un’altra alluvione assurda, l’ennesima. Il centro storico del paese sommerso da una pietraia. Ce n’è testimonianza pure negli affreschi del santuario di Cortinica. A metà degli anni ’90 il compianto sindaco Gabriele Foresti mette via un po’ di soldi, anno per anno, trottola su e giù dal lago a Roma (c’era un governo D’Alema) finché non trova il resto. E fa costruire un canale che taglia trasversalmente l’anfiteatro in cui si allarga il paese ai piedi del monte Pingiolo. Non si vede. (Non porta voti...). Ma è in quel vallo che da allora si fermano le «valanghe», di qualsiasi specie. Non è più sceso un sasso sul belvedere di Tavernola. Si ferma tutto nel «fosso di guardia». Ecco. Serve questo: opere che ci fanno da guardia.

Ieri sera, intanto, altra acqua, altri disagi, altre strade allagate, altra paura, ad Albano è esondato il torrente Zerra. Ed erano solo le 22,30. Il peggio era atteso a notte fonda.

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