Partiamo sereni
Ci tagliano le tasse

Gli italiani possono partire sereni per le vacanze. Li aspetta al ritorno un nuovo felice inizio: una raffica di adempimenti del governo che dovrebbero non solo fornire slancio all’esangue ripresa in corso, ma anche alleggerire in misura sostanziale l’oneroso carico fiscale che tarpa le ali ai consumi e abbatte il morale dei contribuenti.

Dal 2016 niente più tasse sulla prima casa, niente più Imu sui terreni agricoli. Dal 2017, poi, interventi di alleggerimento su Ires e Irap. Infine, dal 2018, una revisione degli scaglioni Irpef e dei trattamenti pensionistici a vantaggio degli interessati.

È in arrivo, insomma, una «rivoluzione copernicana», un «salto di qualità» nell’azione del governo. Cosa si può desiderare di più? Tutto questo bendidio lo ha annunciato sabato 18 luglio Matteo Renzi in pompa magna all’Expo, davanti all’Assemblea nazionale del suo partito. Annunci del genere non possono ovviamente non suscitare una certa dose di perplessità. Se n’è accorto il premier stesso che s’è sentito in dovere di aggiungere che questa volta si fa davvero sul serio, non come gli «altri» che in passato «han fatto solo finta».

Il pensiero va al Berlusconi che prometteva scaglioni dell’Irpef ridotti a due, con aliquote da non credere (addirittura al 23% e, la massima, al 33%), uno Stato che non avrebbe più «messo le mani nelle tasche degli italiani», un’economia in pieno rinascimento, e via di questo passo. Pur di togliersi dall’angolo in cui è finito negli ultimi tempi, Renzi ha sfoderato il suo più smagliante ottimismo. Era costretto a farlo. Prima il mezzo scacco subìto alle regionali con la perdita della Liguria e la scoperta di avere governatori (Emiliano in Puglia, De Luca in Campania, Oliviero in Calabria, per non dire di Crocetta in Sicilia) non propriamente allineati e quindi potenziali sponde alla minoranza interna, poi le umiliazioni inflittegli in Europa con l’esclusione patita dai summit della Merkel e di Hollande. E ancora: Mafia Capitale, per non dire del montante dissenso interno al partito con uscite sì alla spicciolata, ma sollecitate dalla prospettiva di replicare il seducente modello Syriza. Sullo sfondo infine la sempre più vigorosa e dilagante protesta anti-profughi cavalcata dalla destra di Matteo Salvini e Giorgia Meloni.

Matteo Renzi non poteva tollerare oltre di subire l’iniziativa altrui, lui abituato a dettare l’agenda politica. È tornato allora agli antichi amori, alla sequela (poco credibile) di riforme da realizzare a spron battuto. Un anno fa ne promise una al mese, ora se non altro si limita ad una all’anno. Non fa niente se richiama il precedente delle generose riforme fiscali del suo predecessore di destra a Palazzo Chigi, riforme rimaste quasi del tutto inevase. Non fa niente se il suo annuncio assume il sapore della stessa presa in giro attuata dal fu Cavaliere delle meraviglie.

E non fa niente se si espone alle critiche feroci della sua sinistra interna nonché di quella esterna, che lo accusano di essere un emulo della destra, un seguace del liberismo selvaggio. Renzi deve dare per scontato che alla sua gauche si formi un nuovo soggetto politico. Vorrà dire che il Partito democratico si assesterà più comodamente al centro. Sempre che l’annuncio del suo segretario non sia un bluff. Perché allora gli italiani non glielo perdonerebbero facilmente.

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