Pensioni e confini
I migranti senza numeri

I numeri e i fatti in questi tempi non godono di stima. Per una parte dell’opinione pubblica contano di più i propri pensieri e giudizi, da esibire sui social e nelle discussioni, a prescindere dalla realtà. Questo morbo si è impossessato anche della politica, «abile» a conquistare consenso nobilitando appunto pensieri e giudizi che non fanno sempre i conti con ciò che è vero. Due episodi recenti confermano questa tendenza. «Abbiamo bisogno di immigrati regolari che fin da subito paghino i contributi.

Possiamo anche porci l’obiettivo di aumentare la natalità in Italia, cosa non facile, ma si può provare, prima che questi nuovi nati inizieranno a versare i contributi però passeranno 18-20 anni come minimo, mentre gli immigrati regolari pagano da subito» ha affermato il presidente dell’Inps, Tito Boeri, aggiungendo: «Gli italiani sottostimano la quota di popolazione sopra i 65 anni e sovrastimano quella di immigrati (il 70% pensa che siano almeno il 16% della popolazione complessiva, invece sono l’8%, ndr) e di persone con meno di 14 anni. La deviazione fra percezione e realtà è molto più accentuata che altrove. Non sono solo pregiudizi. Si tratta di vera e propria disinformazione». Sono «tanti i lavori che gli italiani non vogliono più svolgere». Nel lavoro manuale non qualificato ci sono il 36% degli stranieri e l’8% degli italiani. Senza il contributo dei lavoratori immigrati l’Inps incasserebbe, nel 2040, 72,6 miliardi di euro in meno. Non dovrebbe spendere 35,1 miliardi per coprire le prestazioni offerte a queste persone, ma il saldo sarebbe negativo: 37,5 miliardi di buco, quasi l’1,8% del Prodotto interno lordo. Si può concordare o meno con Boeri, ma i numeri sono incontestabili ed è da quelli che bisognerebbe partire per ragionare sul tema. E invece apriti cielo: il presidente dell’istituto previdenziale è stato preso di mira e dileggiato sui social mentre il vice premier Matteo Salvini ha fatto capire che il tempo di Boeri è scaduto.

Altra notizia di queste ore. L’Austria, neopresidente di turno della Ue, ha annunciato di essere pronta a adottare misure di protezione dei suoi confini meridionali, tra cui la chiusura del Brennero. Ma il flusso al valico è crollato, scendendo costantemente nel 2018: i migranti intercettati su treni al Brennero a gennaio scorso erano 65, 52 a febbraio, 26 a marzo, due a maggio, nessuno nelle prime due settimane di giugno. Il responsabile della task force per i controlli di confine Erich Lettenbach spiega questo calo «con i controlli più severi che vengono effettuati dalla polizia italiana sui treni in partenza da Verona», oltre al calo complessivo degli arrivi. Lettenbach ha rilevato come i migranti siano ormai informati sui controlli trilaterali con poliziotti italiani, austriaci e tedeschi. La provocazione dell’Austria è quindi pura propaganda e risponde alla Germania che ha annunciato il respingimento dei migranti registrati in altri Paesi (ma anche qui i numeri sono in calo: gli ingressi sul suolo tedesco nel 2017 sono stati 63 mila, quest’anno finora 26 mila). Ingigantire i numeri è un’operazione scorretta, soprattutto da parte di chi governa i Paesi e quindi anche gli stati d’animo dei popoli. È un’operazione di sciacallaggio che amplifica le paure. In Europa (515 milioni di abitanti) quest’anno sono sbarcati 45 mila migranti rispetto al milione del 2015, 16.600 in Italia con un calo dell’80%. Quindi le parole emergenza e invasione a questo proposito vengono usate dai leader politici perché non si conoscono i numeri o perché si vuole mantenere alto il livello di tensione per poi incassare elettoralmente. E non sappiamo quale delle due ipotesi sia la peggiore, in questa povera Europa dove ognuno va per la sua strada invece di gestire insieme un fenomeno governabile.

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