Politica industriale?
Un’Araba Fenice

L’ economia italiana dà segni di ripresa negli ultimi tempi. Basta una crescita dell’ 1 per cento per mettere in sicurezza il sistema bancario italiano?
Questa è la domanda che gira in Europa. In Italia se ne parla poco ma il problema è dal 2011 che si trascina. Dalle dimissioni del governo Berlusconi abbiamo avuto in successione tre esecutivi. Paolo Gentiloni è il quarto della serie ma le riforme, che pur ci sono state, tardano a far vedere i loro effetti.

Nel 2000 in Germania il governo Schröeder varò la famosa Agenda 2010 ma già nel 2005 Angela Merkel, subentrata alla guida del Paese, poteva contare sui primi frutti delle riforme varate dalla coalizione dei socialdemocratici e dei Verdi. Non è quindi un caso che i maggiori dubbi sulla tenuta del sistema economico- finanziario italiano vengano da Berlino.La questione è presto detta: bastano i venti miliardi messi sul piatto dal governo Gentiloni per garantire la tenuta delle banche Italiane? In teoria sì, nel senso che alla luce delle sofferenze degli istituti bancari italiani, in primis Monte dei Paschi, ci sarebbe spazio per dare le certezze necessarie al rilancio della terza banca italiana. I dubbi però nascono dal fatto che non si sa se tutte le aziende operanti in Italia abbiano raggiunto gli auspicati livelli di competitività necessari per far fronte alla sfida della concorrenza globale.

Sappiamo dalla parole del presidente di Confindustria Boccia che le aziende si dividono in tre gruppi: quelle che hanno innovato e sono fortemente competitive, calcolate nell’ ordine del 20%; quelle che sono nella fase di passaggio e quindi in mezzo al guado (il 60% circa) e quelle che sono fuori mercato e non gliela faranno. Se il grosso tiene e riesce a compiere il salto nel nuovo anno con buoni risultati le banche non ne risentiranno, ma se una fetta di quel 60% rimane indietro, i crediti inesigibili diventeranno insostenibili. In Spagna a fronte dello stesso problema hanno avuto bisogno di un’ iniezione di 100 miliardi. Per l’ Italia diverrebbe inevitabile l’ intervento del Fondo Salva Stati gestito a livello intergovernativo europeo. Uno scenario già vissuto dal governo Monti che fece di tutto per impedirlo. Chi non è in grado di fare ordine da solo in casa sua è costretto a delegare la sovranità agli altri. Un destino che nel caso greco si compie in modo esemplare. A fine 2017 la Banca centrale europea comincerà a ridurre l’ immissione di denaro fresco nella zona euro e per l’ Italia inizierà una stagione di tassi più elevati. Occorre quindi agire. Si tratta di convincere chi sottoscrive il debito italiano che il governo è in grado di dare stabilità al sistema.

Sono quindi benvenute le dichiarazioni del ministro allo Sviluppo economico Carlo Calenda che accenna alla politica industriale, l’ araba fenice dell’ economia italiana. Si tratta di rafforzare un sistema che sta diventato luogo di scorribande per le incursioni degli operatori stranieri. La scalata del francese Bolloré a Mediaset colpisce i punti nevralgici del potere economico italiano e se a questo dovesse aggiungersi l’ intervento del Fondo salva Stati, l’ asservimento dell’ economia italiana sarebbe compiuto. Quindi una strategia di coordinamento tra le poche imprese private rimaste e i grandi gruppi a maggioranza azionaria statale permette di dare una guida a un sistema che ha perso fiducia in se stesso e lanciare il segnale che il governo c’ è e non intende fare solo da spettatore. È l’ unica risposta che si può dare a chi vorrebbe avere un’ Italia formato lacrime e sangue. Un mercato di 60 milioni di abitanti e un’ industria fornitrice dei grandi complessi industriali sotto lo scudo della moneta unica fanno comodo.

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