Referendum autonomia
I rischi politici

Il 22 ottobre prossimo, i cittadini lombardi voteranno su un referendum consultivo per decidere se la loro Regione, pur senza poter diventare «speciale», si debba attivare per ottenere «forme e condizioni particolari di autonomia, con le relative risorse, ai sensi e per gli effetti di cui all’art. 116, III c., della Costituzione e con riferimento a ogni materia legislativa per cui tale procedimento sia ammesso in base all’articolo richiamato». Insomma, si persegue la strada, prevista in Costituzione, di un regionalismo differenziato, attraverso cui le Regioni a statuto ordinario possono, al termine di un procedimento, beneficiare di un ampliamento delle loro competenze, superando così una situazione di rigida uniformità.

L’art. 116 della Costituzione disciplina, per linee essenziali, questo procedimento che parte con l’iniziativa della Regione interessata, sentiti gli enti locali, e prosegue con il raggiungimento di un’intesa con lo Stato, sulla cui base è poi approvata dal Parlamento una legge a maggioranza assoluta. Come si vede, l’iter comporta il coinvolgimento necessario di una pluralità di livelli istituzionali (enti locali, Regione e Stato), condizione che difficilmente può verificarsi se si instaura un clima di contrapposizione e conflittualità. Va sottolineato che il referendum, ancorché consultivo, non è affatto un passaggio necessario affinché la Regione intraprenda questa iniziativa. L’art. 116 è privo di un’analitica attuazione e la legge di stabilità per il 2014 ha previsto, a riguardo, un procedimento davvero semplificato. Se dunque non necessario, il referendum è comunque legittimo costituzionalmente. Lo ha chiarito la stessa Corte costituzionale nella sent. 118/2015, che, in un caso simile, ha fatto salvo il referendum consultivo regionale, sul presupposto che rimanga comunque confinato a «una fase anteriore ed esterna rispetto al procedimento prestabilito all’art. 116 Cost.», che dunque «rimane giuridicamente autonomo e distinto dal referendum, pur potendo essere politicamente condizionato dal suo esito». Insomma, per la Corte è importante che il referendum non deroghi in alcun modo alle fasi previste dall’art. 116 Cost.. La competenza a disciplinare il referendum è dello Statuto regionale che, nel caso lombardo, prevede (all’art. 52) anche il referendum consultivo, la cui indizione può essere deliberata dal Consiglio regionale a maggioranza dei due terzi. Ciò è accaduto il 17 febbraio 2015, data in cui il Consiglio regionale ha adottato la delibera X/638 con la maggioranza prescritta, grazie ai voti dei consiglieri della maggioranza che sostiene il Presidente Maroni e del M5S. Al contempo, con la l.r. 3/2015 è stata introdotta la modalità del voto elettronico per il referendum consultivo.

Se dunque, su un piano giuridico-costituzionale, tutto è avvenuto in conformità alle regole, eventuali dubbi possono essere sollevati sul piano dell’opportunità politica. Con la sua iniziativa, la Regione, in condizioni di debolezza istituzionale e anche politica (al cospetto di una maggioranza statale di diverso colore), cerca evidentemente di rafforzare il suo peso negoziale, confidando di ottenere con il referendum una forte spinta dalla base popolare. Se questo è comprensibile, tuttavia l’indizione di una consultazione referendaria non necessaria (né decisiva) solleva problemi seri di opportunità: intanto in relazione ai profili della sobrietà finanziaria che sempre più si deve richiedere all’azione politica e istituzionale specie in questioni che potrebbero risolversi con costi minori. Inoltre, proprio la scelta di caricare di significato politico la consultazione referendaria minaccia di produrre, attorno a un esito che appare largamente condivisibile, resistenze e opposizioni di tipo partitico, che potrebbero pregiudicare o comunque indebolire l’obiettivo atteso del rafforzamento dell’iniziativa istituzionale della Regione. Come si è notato, l’art. 116 prevede un meccanismo che funziona solo se c’è collaborazione istituzionale, sicché un’eventuale contrapposizione, giocata su un piano partitico, rischia di compromettere un esito che pure appare alla portata.

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