Rimpasto e 007
La partita non è finita

La partita a scacchi continua. Anche se forse siamo abbastanza vicini alla sua conclusione. Chi pensava però di vedere la fine del match tra Giuseppe Conte e Matteo Renzi già ieri con un vertice di maggioranza, è rimasto deluso. Questioni di precedenze, ripicche, sospetti intorno alla nuova bozza del Recovery Plan hanno ritardato il confronto e, di conseguenza, il consiglio dei ministri che dovrà varare il piano e consegnarlo alla valutazione del Parlamento. Se ne parlerà la prossima settimana. Il testo della nuova versione accoglie diverse richieste di Italia Viva ma i renziani sostengono di non essere stati ulteriormente consultati: «Esiste una maggioranza nella maggioranza» è l’accusa che ripetono da tempo contro Conte ma anche in polemica con democratici e grillini. Nel frattempo, Renzi getta in mezzo al campo una nuova palla avvelenata: a partire dalla questione della delega ai servizi segreti che Conte ancora non si è rassegnato a cedere a qualche esponente di partito o a persona di sua fiducia, il senatore di Rignano ha ritirato fuori la vecchia e mai risolta questione della visita lampo dell’Attorney Generale di Trump William Barr a Roma nell’agosto 2019 avvenuta per ragioni mai chiarite ma che i più sostengono legata al giallo del Russiagate.

Dopo i drammatici fatti di Washington e l’inglorioso finale della presidenza Trump, Renzi vuol sapere quali siano stati i rapporti di Palazzo Chigi con The Donald in questi anni, e lo fa con l’aria di chi la sa lunga e intende colpire in un punto delicato. È certamente un’altra arma puntata contro Conte che, da una parte, sembra pronto a cedere a Renzi sul piano del Recovery (soprattutto di chi gestirà soldi e progetti) e sul rimpasto di ministri e sottosegretari ma dall’altra appare assai meno disponibile proprio sul tema del controllo dell’intelligence (attraverso il quale passano i rapporti più riservati con i Paesi alleati e con i cosiddetti «poteri forti» internazionali). E Renzi risponde rispolverando l’imbarazzante vicenda Barr. Questo per far capire che la partita, come dicevamo, è ancora in corso. Intorno ai due contendenti, gli altri protagonisti mettono i loro paletti.

Dal Pd continuano a minacciare Renzi con la prospettiva di elezioni anticipate (da cui Italia Viva uscirebbe bastonata): arma non del tutto efficace dal momento che i grillini su ogni cosa sono disposti a trattare tranne che sul ritorno anticipato alle urne: anche loro rischiano di tornare a Montecitorio con le ossa rotte, ossia con meno della metà degli attuali deputati e senatori, forse addirittura un terzo. Quindi la rocciosa ministra renziana Teresa Bellanova si può prendere il lusso di ironizzare sulle minacce piddine: «Non siamo noi quelli che hanno più paura del voto anticipato». Certo non è ancora chiaro fino a che punto si voglia e si possa spingere Renzi: se vuole un governo tutto nuovo con un altro premier ma con la medesima maggioranza deve giocare il tutto per il tutto e attendersi un furioso fuoco di sbarramento. Se invece si ferma a metà, ottiene che Conte rinunci agli 007, più un ministero per sé o per la Boschi o per Ettore Rosato, più qualche nomina di sottogoverno e qualche investimento nel Recovery Plan da sventolare sui social, rischia di perdersi e rivelarsi una tigre di carta.

Forse più che una partita a scacchi questa è una sfida a poker in cui alla fine bisogna pur calare le carte. Conte è uno specialista nel rinvio, nello spezzettamento dei problemi, nel farsi concavo e convesso, ma anche Renzi non scherza col suo esprit florentin che si sostanzia, come diceva François Mitterrand, più col veleno che col pugnale.

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