Rosatellum, l’incertezza
regna sovrana

E anche questa volta siamo riusciti a vivere «la più brutta campagna elettorale di sempre»: ogni tappa che si raggiunge porta con sé la certezza che la prossima sarà peggio. Si dirà: colpa dei partiti. Anzi, dei leader. Della situazione, del contesto, del clima perché no? Colpa della legge elettorale, questo strambo «Rosatellum» un po’ maggioritario ma soprattutto proporzionale che ci ha fatto tornare ai vizi più esecrati della prima Repubblica senza un briciolo delle virtù di allora: era nato per favorire le coalizioni, sta producendo il più classico tutti-contro-tutti. Se, come molti sostengono, il meccanismo escogitato in fretta e furia alla fine della legislatura non ci darà altro che l’instabilità di un Parlamento spezzettato, sarà giocoforza cambiarlo, ma dei dolori necessari per riuscirci è bene parlarne poi. Per il momento ci dobbiamo occupare di questa corsa sfrenata di ciascun partito o partitino alla conquista dell’ultimo seggio e senza la benché minima idea di come andrà a finire. Nessuno ha certezze.

A cominciare dai grillini, i vincitori annunciati che prevedono, senza crederci, che riusciranno a conquistare la maggioranza assoluta e a fare un governo con la lista dei ministri che hanno avuto la bizzarria di mandare per mail a Mattarella prima del voto. Se non riusciranno ad impadronirsi della Camera e del Senato, chiederanno agli avversari di appoggiare gratis il loro governo: non si capisce onestamente perché dovrebbero far loro un tale regalo. Di sicuro nessuno voterà a favore delle dimissioni (posto che le presentino) dei deputati ex grillini espulsi per indegnità varie scoperte in corso d’opera: come è noto, i cani sciolti possono sempre risultare utili nel gioco del retrobottega parlamentare.

Non hanno certezze neanche i sodali del centrodestra che ieri si sono presentati con sorrisi tirati all’unica iniziativa in comune della campagna elettorale: lo scatto di una foto. Loro rappresentano la coalizione data per vincente, l’unica che è stata messa in piedi per la verità. Però tra Forza Italia e Lega è in corso una gara spasmodica a chi arriva primo per decidere il nome del campione che porterà i colori della squadra. Domanda: ma se la coalizione non riuscisse a conquistare la maggioranza e dovesse decidere per un piano B, resisterebbe? Salvini potrebbe essere tentato di mettere sul tavolo i preziosissimi voti che mancassero ai grillini. Ma anche Berlusconi potrebbe rispolverare il vecchio progetto dell’intesa «larga» col Pd di Renzi e qualche altro «responsabile».

Ecco, il Pd. Tutti stanno provando ad indovinare quanti voti perderà Renzi. Starà sopra o sotto la «quota Bersani», quella raggiunta nel 2013 dall’allora segretario? E quanti voti si saranno portati via gli scissionisti di D’Alema? Come potrebbero un partito e un segretario troppo indeboliti restare in partita? Magari Renzi fa il miracolo (come Berlusconi nel 2006) di un recupero prodigioso: certo ancora una volta, come ai tempi del referendum, la partita è tra lui e (quasi) il resto del mondo.

Dal Quirinale hanno fatto filtrare che il capo dello Stato non ha soluzioni precostituite (governi «del Presidente», per intenderci) e che darà l’incarico a chi dimostrerà di essere in grado di radunare una maggioranza di seggi parlamentari, precisazione non banale. Per il resto dal Colle solo silenzio. Quello stesso cui nelle prossime quarantott’ore si dovranno attenere tutti i partiti per consentire agli italiani, se possono, di pensare a come sbrogliare la matassa. La priorità è quella di evitare una lunga sede vacante: ciò che tutti, da Bruxelles al Tesoro, temono più di ogni altra cosa.

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