Salvini sovrano
Ora torni a terra

Il raduno di Pontida si svolge una volta all’anno e perciò gode di una licenza equivalente a quella poetica: è necessario far la tara, smagrirlo dell’eccesso di retorica. Il consueto Salvini dice che la sua Italia governerà per i prossimi 30 anni, il che sarebbe nella serie storica delle dittature e non proprio dei regimi parlamentari in un sistema di alternanza democratica. I più longevi statisti parlamentari si sono rivelati mediocri anticipatori degli standard salviniani: la Thatcher, Kohl, Blair, la Merkel hanno raggiunto all’incirca soltanto la metà della quota. L’ungherese Orban, mentore del nostro, potrebbe fare ancora meglio e non è escluso, vista la brutta aria che tira. Il capo leghista e ministro dell’Interno, quando stabilisce questa ardita tabella di marcia generazionale, tradisce un’idea plebiscitaria della democrazia rappresentativa.

Anche per Salvini vale però la vecchia regola che il re è nudo. Più che un sovranista, pare un sovrano: nemmeno protettore dei suo sudditi, piuttosto proprietario delle loro imperiture aspettative. Ma quando mai s’è visto, nel tempo ormai fuoriuscito dalla logica della Guerra fredda, un leader che si autointerpreta perpetuato su scala così smisurata, proiettato in una gloria elettorale senza tempo? Salvini, con la stretta sui migranti, ha dalla sua mezzo Paese e i sondaggi dicono che, sul piano virtuale, è il primo partito. Ma non significa che tutto può e che tutto gli è dovuto: ritorni a terra. La maggioranza parlamentare uscita dal voto del 4 marzo non è tale nel Paese: se si considerano anche gli astenuti, si tratta del 35% degli aventi diritto al voto. Quindi, almeno a bocce ferme, il governo può parlare a nome di un terzo del popolo. Più realistica, ma non meno discutibile, l’idea di «una Lega delle Leghe in Europa» contro élite e burocrazia. Dovrebbe trattarsi dell’Internazionale sovranista che, fra Trump e Putin e passando per la Brexit, ha nell’ungherese Orban il teorico e il pratico della democrazia illiberale. In questo quadro, Pontida esce dai confini padani dell’altro ieri e nazionali di ieri, per proiettarsi nella dimensione continentale di oggi: Salvini, di fatto, ha aperto la campagna per le elezioni europee della prossima primavera.

Allo stato la partita è fra Macron che, pur con i suoi scheletri nell’armadio, guida il fronte europeista insieme al soldato Merkel (salvata in extremis, ma le notizie di ieri da Berlino non sono incoraggianti) e la nuova destra mitteleuropea sovranista, più Austria e Italia salviniana. Il presidente francese e il ministro italiano si sono costruiti come nemici perfetti di un’idea alternativa d’Europa. Il vertice comunitario sull’immigrazione è stato variamente interpretato in termini di vincitori e sconfitti, ammesso e non concesso che sia questo il criterio corretto. A noi sembra che si sia rafforzato il fronte autoritario che cattura la crisi dei profughi nella prigione dell’imperativo della sicurezza come principio inderogabile, con una sconfitta del diritto umanitario: un’Europa che continua ad essere cieca e sorda dinanzi al massacro nel Mediterraneo (perché di questo si tratta) in progressiva dismissione dai parametri di civiltà giuridica di cui, per quanto impopolari, dovrebbe continuare ad andare fiera. Pontida, in linea con un’Europa autoritaria che intende smontare il sistema liberaldemocratico, ha confermato la frattura fra società dei muri e società aperte con tutele di un’umanità alla deriva che dovrebbero avere una copertura del diritto internazionale. L’altro aspetto toccato da Salvini è il progetto di cancellare la legge Fornero. L’abrogazione della riforma delle pensioni e la flat tax erano in cima all’agenda della Lega, poi finite sotto traccia. Nel frattempo, nella rincorsa per riequilibrare la diarchia ibrida a favore finora del leader leghista, Di Maio ha cercato di uscire dall’angolo da sinistra con le restrizioni sul lavoro flessibile. Abbiamo visto così un gioco delle parti sui diversi confini: Salvini pigliattutto a destra, Di Maio rimontante a sinistra, lo stesso titolare del Viminale che recupera a sua volta a sinistra fiondando la Fornero. In mezzo il premier Conte, il cui ruolo, ancorché non invidiabile, è tutto da decifrare. Le opposizioni sono venute dai mercati finanziari (spread), che nessuno ha votato, e ora con il Partito del Pil (Confindustria), cioè dalle organizzazioni di interessi. La frenata della crescita, l’ipotesi di una manovra aggiuntiva, le variabili delle finanza pubblica ci riconducono alla realtà vera e non più a quella percepita e manipolata per via mediatica, come par di capire dalla linea rossa tracciata dal ministro dell’Economia. Aspettando invano che le opposizioni vere, quelle parlamentari, facciano il loro mestiere: Berlusconi, per quanto possa risultare credibile, e il non pervenuto Pd.

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