Se le tv di Berlusconi
fan vincere gli avversari

C’è stato un tempo non molto lontano (gli anni ’90) nel quale il conflitto d’interessi di Silvio Berlusconi teneva banco nel dibattito pubblico: uomo di governo e proprietario di tre reti televisive e di giornali, controllore della tv di Stato attraverso i partiti della sua maggioranza. Una legge che regolamentasse quel conflitto è stata a lungo la spina nel fianco della sinistra, incapace di arrivare a un dunque. Poi l’ex Cavaliere è caduto politicamente in disgrazia e reso ineleggibile dalla legge Severino. Così la regolamentazione del conflitto è finita in cantina.

Nel frattempo in questi anni Mediaset ha inserito nei palinsesti alcuni talk show con l’obiettivo di aumentare lo share e quindi le inserzioni pubblicitarie, affidandosi a un trio di professionisti (Maurizio Belpietro, Paolo Del Debbio e Mario Giordano) che, pur nelle diverse sensibilità, propone un genere di giornalismo populista e urlato, «dalla parte della gente» aizzandone l’indignazione contro la classe politica e i migranti (soprattutto) per poi lasciarla in sospeso, senza indicare una via d’uscita, una soluzione a problemi complessi.

A un certo punto a Mediaset, anche su sollecitazione di alcuni parlamentari di Forza Italia, si sono guardati in faccia, colti da un dubbio: non sarà che questo genere mediatico porta voti ai 5 Stelle e alla Lega? E così è stato, come si evince dall’esito del voto del 4 marzo scorso. Perché se è vero che molta campagna elettorale è passata attraverso i social network e internet, è altrettanto vero che fra i canali tradizionali d’informazione la tv resta la privilegiata.

Il primo ad accorgersi di questa deriva, nella struttura interna, fu oltre un anno fa il presidente di Mediaset Fedele Confalonieri: «C’è un clima in una parte del Paese - disse - un malumore che la televisione intercetta, e che poi, per fortuna non sempre, enfatizza. I nostri conduttori sono bravi, ma in questa logica adesso stiamo esagerando. Stiamo portando i vasi a Samo. Fa un po’ di share, certo, ma “cui prodest”? A chi giova? A che serve? Non ci sono fake news nei canali Mediaset, ma talvolta - ha detto ancora il presidente - c’è un piano inclinato, un eccesso nel racconto, nella costruzione scenica. Questo non mi piace».

Tra le contromisure messe in campo c’è la prossima nomina di Paolo Liguori a direttore editoriale, una sorta di «commissario sui programmi d’informazione». La sensazione però è che si chiuda il recinto a buoi scappati, a intossicazione di populismo giornalistico avvenuta. Anche perché il trio di professionisti, Belpietro, Del Debbio e Giordano (autore anche dei programmi dei primi due) continua ad operare, puntando più alla quantità degli ascolti (che non è certo esplosiva, anzi, ma ha fidelizzato un certo tipo di pubblico) che allo stile e al contenuto. A «Quinta Colonna», condotta da Del Debbio, in settimana a parlare della formazione del nuovo governo tra gli ospiti collegati con lo studio c’erano l’attrice Sandra Milo e il collega Alvaro Vitali: sollecitati a un parere sul tema, reiteravano un «si mettano d’accordo» riferito ai partiti. Uno spettacolino esilarante, ma anche deprimente per una tv nazionale di lunga storia come Rete4.

L’uscita di scena del trio pare comunque segnata. Mario Giordano ha già lasciato la conduzione di «Stasera Italia». Al suo posto l’allievo Marcello Vinonuovo, che, come ricordava «Il Foglio», è il giornalista che l’anno scorso, in un fuori onda trasmesso da «Striscia la notizia», dalla regia del programma «Dalla vostra parte», su Rete 4, si accertava che l’inviato in piazza aizzasse la folla contro l’allora viceministro Enrico Zanetti: «Chi me lo scuoia?». Non certo una buona partenza.

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