Senza prescrizione
processi più lunghi

L’avvenuta approvazione dell’emendamento che sospende sine die il corso della prescrizione a partire dalla sentenza di primo grado pone più di qualche perplessità; in primo luogo una doverosa critica di metodo sull’inserimento a sorpresa di una modifica di tale portata nell’ambito di una normativa specifica, finalizzata all’anticorruzione. Tale criticità è destinata a consolidarsi laddove si ponga mente al fatto che la «regola» introdotta è di portata generale e quindi destinata a valere per tutti i reati.

Quando il Costituente ha regolamentato i momenti di produzione legislativa, certamente tale modo di procedere non ne rappresentava il modello di riferimento. Quanto al merito, la nuova disciplina non appariva necessaria, posto che con la riforma Orlando già si è provveduto a introdurre «generose» sospensioni dei termini di prescrizione, che agiscono anche nei giudizi di impugnazione. A tale rilievo si aggiunga la considerazione che, con riferimento ai reati più rilevanti, si sono previsti sempre maggiori aumenti di pena in ordine a cui è difficile immaginare il decorso del termine prescrizionale. E, sul punto, deve farsi tesoro del rilievo formulato da Giovanni Canzio (presidente emerito della Cassazione), teso a evidenziare come il maggior numero di prescrizioni maturi nel corso delle indagini preliminari. A ciò aggiungasi che il legislatore si è, anche di recente, premurato di introdurre ipotesi di depenalizzazione e deprocessualizzazione che, unitamente ai criteri di priorità nella trattazione dei processi accompagnati da forme deflattive, come ad esempio la particolare tenuità del fatto, sono dirette a velocizzare i processi proprio al fine di non far maturare la prescrizione. Ma, come noto, le modifiche introdotte necessitano di quel minimo di tempo perché se ne possano constatare i benefici. Rammarica il fatto che tale tempo non sia stato concesso e si sia intervenuti con un provvedimento legislativo ad hoc che sarà foriero di non poche problematiche.

La «fretta» appare ancor più incomprensibile ove si consideri che la nuova normativa sulla prescrizione potrà regolamentare solo il futuro e anzi, a giudicare dalla norma transitoria, nemmeno un futuro prossimo. In ogni caso, quando si mette mano a un testo di legge, si ha l’obbligo di rispettare il precetto costituzionale, il vincolo europeo e l’armonia del sistema giuridico. Nel momento in cui si introduce una sospensione sine die del corso della prescrizione a partire dalla sentenza di primo grado non è difficile immaginare che i processi in appello e in Cassazione saranno trattati con notevole lentezza, e ciò a prescindere dal fatto se sia impugnata una sentenza di assoluzione o di condanna. Il rilevo evidenzia il mancato rispetto dell’obbligo costituzionale ed europeo della ragionevole durata del processo.

La situazione danneggia l’imputato, che non può divenire un eterno giudicabile, e la stessa parte civile, che dovrà attendere i «tranquilli» tempi di una decisione definitiva per avere risposta alle sue pretese. E qui emerge la necessaria armonizzazione del sistema; se si vuole perseguire a tutti i costi tale strada, caratterizzata da evidenti frizioni di costituzionalità, occorre almeno preoccuparsi di rivedere la disciplina dei rapporti tra azione civile e azione penale.

Peraltro non deve sfuggire che il paventato allungamento dei tempi per una decisione definitiva conduce a una esecuzione pena a notevole distanza dalla commissione del fatto. Il tempo trascorso può consegnare alle carceri un soggetto profondamente diverso da quello che ha commesso il reato. In tale prospettiva quel che viene pregiudicata è la funzione rieducativa della pena imposta dall’articolo 27 della Costituzione, valorizzandosi solo la sua componente repressiva. Torna, così, in auge il progetto di riforma di un processo bifasico dove la quantità della pena da irrogare a chi è dichiarato colpevole viene comminata, «attualizzandola» al momento esecutivo, da un giudice diverso da quello che anni prima ha espresso un giudizio di colpevolezza. Forse, se si fosse perseguito il metodo del confronto con le componenti della magistratura, dell’avvocatura e della stessa accademia, si sarebbe potuti pervenire a un’opzione più ragionata.

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