Sinistra logorata
crisi di leadership

Non si sa con precisione quale reale peso politico dare al voto amministrativo di oggi. Un po’ perché è parziale (oltre mille Comuni e 21 nella Bergamasca, 9 milioni chiamati alle urne, alcuni centri importanti come Palermo, Genova e Verona) e soprattutto perché l’appuntamento è finito nel cono d’ombra indotto dalla maratona sulla legge elettorale e dal suo affondamento. Tuttavia, essendo saltati da tempo la gerarchia e i confini politici fra i diversi livelli delle consultazioni, anche un’elezione di relativo peso nazionale acquista, in modo improprio, una dimensione generale.

Non darà risposte vere e proprie, ma qualche orientamento di massima che potrà pesare nei rapporti di forza fra i partiti. Il Pd rischia e difficilmente potrà mantenere i 16 capoluoghi di provincia dove governa, sui 29 che vanno al voto. Il centrodestra si presenta sostanzialmente unito, discostandosi dal format nazionale: la linea del governatore ligure Toti, non quella autonomista di Berlusconi. Per Grillo, soprattutto nella sua Genova, il terreno è sdrucciolevole: le beghe interne si sommano alle difficoltà di un movimento d’opinione nel mettere radici sul territorio. I grillini, pur considerando i sondaggi favorevoli e i corteggiamenti che ricevono da più parti, soffrono una crisi di crescita e, sfilatisi dall’accordo sulla legge elettorale, sono reduci da un’occasione mancata: quella di essere parte di un progetto politico, comunque lo si voglia giudicare e al di là di chi effettivamente l’abbia atterrato. Il gruppo dirigente esce spaccato da questa prova di forza in cui è prevalsa la linea ortodossa e oltranzista rispetto a quella possibilista. Ma il cuore della questione è un altro: la democrazia del web, ammesso che sia tale, e la sovranità della Rete sono incompatibili con la mediazione. C’è un tempo per essere radicali e un altro per entrare nell’età adulta, pur mantenendo il proprio profilo: così non è stato. Si dirà che preservando la purezza anti Casta delle origini ed evitando di farsi normalizzare e istituzionalizzare, i 5 Stelle tutelano la loro ragione sociale, che è poi la loro forza: la diversità.

In realtà questa tattica copre una debolezza: nel momento in cui deve decidere e prendere posizione, la leadership si divide. Il ricorso al clic sostituisce una cultura incapace di pagare il prezzo della sintesi. Lo si è visto in modo plastico nella soddisfazione liberatoria con cui i parlamentari grillini hanno salutato il naufragio dell’accordo sulla legge elettorale: quasi il prendere congedo da una prospettiva di responsabilità, la sindrome da rivoluzione tradita. Come a dire: finalmente si torna a casa. La «questione italiana», la sua «stabile instabilità» è anche questo: un capitale di consensi, sterilizzati nel freezer della mitologia e improduttivi in quanto non coalizzabili e quindi non a disposizione della comunità politica. Là dove, viceversa, l’urgenza è ricostruire un sistema politico imballato dopo la sconfitta del referendum costituzionale: è dal 4 dicembre che si sta conducendo un conflitto che logora tutti, senza trovare una via d’uscita.

Ricostruire è l’obiettivo che s’impone anche, e soprattutto, per Renzi, un leader ad alto tasso di fragilità. Il capitombolo della legge elettorale cambia il quadro di nuovo e in modo radicale: basta elezioni anticipate, andiamo sino a fine legislatura, sosteniamo il governo Gentiloni, che è il «nostro». Un Renzi di sinistra, è stato osservato da qualche commentatore, costretto a mettere insieme Blair, Macron e ora l’inglese Corbyn, il laburista d’antan fresco protagonista di una «non sconfitta». Dopo aver tentato di riagganciare Berlusconi (il vero discrimine fra i democrat), adesso deve ricostruire i rapporti con il centrosinistra almeno per uscire dall’accerchiamento dei padri nobili (Napolitano, Prodi, Veltroni) che hanno cercato di riportarlo dentro la logica della coalizione, che sta stretta a Renzi. La presa di distanza dei fondatori può diventare massa critica incontrando il progetto neoulivista di Pisapia, leader in pectore di un contenitore distante dal renzismo e interlocutore obbligato di un Pd non pacificato. La partita a questo punto si sposta sul fianco sinistro e qui si vedrà in corso d’opera se ci sono le condizioni di «convergenze parallele» fra Renzi e l’ex sindaco di Milano, per quanto l’Ulivo appartenga ad una stagione conclusa. Il segretario del Pd non è più nelle condizioni di puntare solo su se stesso, pena l’isolamento: non può perdere tutto ciò che sta alla sua sinistra mentre dovrà recuperare quel che si colloca alla sua destra, i centristi di Alfano scaricati in modo spiccio anzitempo. Allontanandosi il voto anticipato si guadagna un po’ di tempo: possibilmente per fare chiarezza e ricostruire un progetto di alleanze e di società.

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