Un terribile ritardo
Così il Paese
è a rischio

Giuseppe Conte non si è smentito nella conferenza di fine anno con la stampa parlamentare: arrivato a Villa Madama proprio mentre al Senato Matteo Renzi gli rivolgeva l’ennesimo ultimatum preavvertendolo del possibile distacco di Italia Viva dalla maggioranza, il presidente del Consiglio, come suo costume, ha mantenuto l’aplomb e il suo (apparente) distacco dalle turbolenze politiche che lo stanno avvolgendo ormai da mesi. Ha però lanciato un avvertimento – non un ultimatum, ha precisato polemicamente – proprio a Renzi: se un pezzo della maggioranza verrà meno, ha detto, lui porterà la crisi in Parlamento e ognuno si assumerà la sua responsabilità.

E, in questi termini, una sfida al suo principale avversario del momento: potrebbe Italia Viva assumersi la responsabilità di far deragliare il treno del governo proprio nel momento delicatissimo della presentazione dei progetti del Recovery Plan, della vaccinazione di massa della popolazione, e perdipiù della presidenza di turno del G20 che ci spetta? È difficile che accada, e questo fa pensare che, nonostante tutte le parole che il senatore di Rignano continua ad usare in Parlamento e fuori, la sua sia una pistola scarica.

Anche perché l’alternativa a Conte non sarebbe, nelle intenzioni del Quirinale, un nuovo governo magari ancora più fragile dell’attuale ma le elezioni anticipate: e alle urne il partitino di Renzi non avrebbe scampo, sarebbe travolto da un insuccesso che è scritto già nelle cose. Sta di fatto però che questo stato di continua fibrillazione politica, rischia di paralizzare il governo nella predisposizione delle proposte da presentare all’Europa per ottenere le prime tranches dei 209 miliardi che ci sono stati assegnati ma che saranno versati solo a fronte di precisi progetti, non di vaghe promesse.

E su questo siamo decisamente in ritardo: ieri Conte lo ha ammesso promettendo di fare di tutto per essere pronto, a metà febbraio, per mandare le carte a Bruxelles. Ma la sua preoccupazione è condivisa dal ministro dell’Economia Gualtieri, dal commissario europeo Paolo Gentiloni, dal presidente del Parlamento di Strasburgo Sassoli: siamo indietro, rischiamo di perdere i soldi, servono procedure straordinarie, corsie preferenziali, uno sforzo straordinario, dicono tutti. Il problema però è che l’offensiva renziana – e i dubbi di Pd e M5S – hanno distrutto la «cabina di regia» che Conte aveva cominciato a organizzare a palazzo Chigi con l’impiego di tecnici esterni che avrebbero dovuto coordinare il lavoro del Recovery Plan. Ai partiti non piaceva questo potere che il presidente del Consiglio si stava autoassegnando, e in fondo Renzi ha fatto un piacere sia a Di Maio che a Zingaretti. La conseguenza è che adesso tutto è tornato alla casella di partenza. Il giurista Sabino Cassese, ex presidente della Corte Costituzionale, ha proposto di istituire delle unità di super dirigenti ministeriali (non manager esterni come voleva Conte) che dovrebbero fare riferimento al ministero dell’Economia e alla Ragioneria Generale dello Stato. Non si sa se l’idea di compromesso piaccia ai politici però una cosa è sicura, e Conte ieri se ne è lamentato con franchezza: stiamo davvero rischiando grosso, quei miliardi sono la nostra salvezza se vogliamo evitare un aumento esponenziale della disoccupazione e dunque l’esplosione della questione sociale. Quando prima o poi sarà necessario togliere il blocco dei licenziamenti e le proroghe della cassa integrazione potrebbero esserci fino a un milione di posti di lavoro a rischio. Non saranno i bonus della manovra economica appena approvata a risolvere un simile problema, ma un grande programma di investimenti pubblici e di cantieri da aprire in fretta: esattamente quanto in questo momento manca al governo.

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