Unione divisa
L’Europa frana

Qualunque accordo venga raggiunto al termine di questo faticoso, confuso e per certi aspetti drammatico Consiglio europeo, una cosa è apparsa evidente: l’Unione sta franando. Molte analisi sofisticate possono essere fatte per spiegare cosa stia accadendo, e plausibili ragioni possono essere evocate, ma nulla può nascondere ciò che noi cittadini europei sempre più sconcertati abbiamo visto accadere a Bruxelles. Basta fare l’elenco.

Per cominciare c’è un Paese, un grande Paese, che ricatta i partner per non andarsene dalla Ue e «rimanere a bordo»: la Gran Bretagna, mentre si appresta ad uno spericolato referendum sulla sua partecipazione all’Unione, manda il suo premier ad alzare il prezzo e a pretendere concessioni che vanno ben oltre le mai dimenticate ed estenuanti trattative thatcheriane. Trattative che hanno un unico vero obiettivo: gli inglesi ormai vogliono mani libere su tutto, dal welfare per i cittadini comunitari che vanno a cercare un futuro a Londra alle norme per le banche della City. Insomma vogliono poter dire impunemente: questa legge dell’Unione non ci piace e noi non la seguiamo. Punto. Ammettiamolo: ci fanno quasi invidia gli inglesi, noi che siamo sottoposti da anni alla continua, ossessiva richiesta tedesca di «fare i compiti a casa», di stare in riga e di non alzare la voce in aula quando entra la maestra. Ma tant’è: la Gran Bretagna alza il prezzo per rimanere (malvolentieri) con noi. E lo può fare perché la Germania comanda ma non guida, la Francia si è ridotta alla statura di Hollande, la Commissione è impotente, e infine perché senza la Gran Bretagna l’Unione Europea sarebbe impensabile.

Andiamo avanti. C’è un altro Paese, piccolo ma importante nella storia se non nel presente, che dice: io sugli immigrati ho fatto finora quanto basta e anche di più, adesso è ora di chiudere i cancelli, e se voi – cari partner dell’Unione – non siete d’accordo, pazienza, noi coi nostri confini facciamo come vogliamo. E come fa l’Austria fanno anche i Paesi ultimi seduti a tavola, dall’Ungheria alla Croazia, alla Serbia, Slovenia e Macedonia. Tirano su muri, chiudono i confini, se ne infischiano persino delle minacce tedesche. Ora, le quote di ripartizione dei migranti non funzionano e non hanno mai funzionato (del resto, pur di arrivare ad una decisione che le prevedesse si accettò di non renderne obbligatoria l’applicazione, figuriamoci), ma i Paesi dell’Est, quelli che tanto hanno usufruito della possibilità di cercare un lavoro in Europa quando la caduta del comunismo li aveva ridotti all’elemosina, si dimostrano i più solleciti nello stendere i fili spinati, quelli nei quali si impigliano anche i bambini come ha documentato quella foto inguardabile che ha fatto il giro del mondo.

E così italiani e greci restano a presidiare, sostanzialmente da soli, le «frontiere esterne» dell’Unione. Ma esistono ancora le «frontiere» dell’Unione, o non siamo già di fatto tornati ai confini nazionali? Si dice: se cade Schengen cade l’idea stessa dell’Unione. Ma forse Schengen già non c’è più e noi non abbiamo il coraggio di ammetterlo. L’Europa, di fronte all’ondata migratoria, frana, cede, si divide. Non c’è.

In tutto ciò chi è più degli altri in trincea protesta, come facciamo noi, come fa la Grecia che addirittura minaccia il veto sull’accordo con la Gran Bretagna. Ma l’impressione è che ci ascoltino poco, tant’è che siamo stati anche esclusi dalla riunione dei Paesi della cosiddetta «rotta balcanica» di chi fugge verso di noi. Nel frattempo si rincorrono gli ammonimenti dei falchi europei a noi italiani a smetterla di chiedere più flessibilità nei conti e di escludere dal conteggio del deficit le spese per far fronte all’emergenza migratoria. Il rinnovato protagonismo italiano in sede comunitaria e internazionale di cui Renzi si fa anche legittimamente portabandiera, ieri al Consiglio noi purtroppo non lo abbiamo visto.

L’Europa è così ridotta: l’Unione non manca mai di mostrare la propria debolezza sui quadranti geopolitici dove pure dovrebbe essere quantomeno coprotagonista, e non ha uno straccio di politica estera e di difesa. Insomma è una Unione dove ognuno va per conto proprio.

Ecco ciò che abbiamo visto in questi due giorni di Bruxelles.

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