Usa e Cina, l’hi-tech
e la guerra fredda

L’arresto di Meng Wanzhou, figlia del fondatore del colosso cinese delle telecomunicazioni Huawei, ha dato il colpo di grazia alle Borse asiatiche, compromettendo ancora una volta i rapporti commerciali fra Stati Uniti e Cina. Pesano le motivazioni dell’arresto, maturato nell’ambito di un’indagine sulla violazione delle sanzioni all’Iran. Senza dimenticare i dubbi che gli americani nutrono sul fatto che gli smartphone cinesi possano essere usati addirittura a scopi di spionaggio. Ma è solo l’ennesimo episodio di una battaglia commerciale che noi europei sottovalutiamo, ma che ci riguarda, eccome.

Meng Wanzhou, la figlia del fondatore di Huawei, Ren Zhengfei, ex alto ufficiale dell’Esercito del Popolo, è detenuta in Canada dalla scorsa settimana: la manager deve affrontare una richiesta di estradizione in arrivo dal Dipartimento per la Giustizia degli Stati Uniti, che accusa la multinazionale (presente in 140 Paesi, con 180 mila dipendenti e un fatturato di oltre 77 miliardi di euro) di aver venduto prodotti e servizi di alta tecnologia all’Iran, Paese, come è noto, sottoposto a embargo da Trump dopo il disgelo avviato dal suo predecessore Obama. La notizia ha messo uno stop alle aspettative di una composizione del dissidio tra Cina e Stati Uniti sugli scambi commerciali. L’arresto non aiuta la partenza del negoziato tra i due Paesi, decisa solo qualche giorno fa durante una cena tra Trump e Xi Jinping nel corso del vertice del G20 a Buenos Aires.

Se dovessimo fare un paragone d’altri tempi, è come se Trump avesse fatto sequestrare la figlia dell’ammiraglio della flotta cinese durante gli accordi per una tregua militare.

Huawei non è un nome tra tanti, l’azienda è stata spesso al centro delle controversie, in quanto viene ritenuta negli Stati Uniti la testa di ponte della Cina nell’alta tecnologia. Questa specie di Guerra Fredda economica del terzo millennio, dicono gli esperti, potrebbe avere conseguenze in Europa ed essere una delle cause indirette della recessione prossima ventura.

Il peggioramento delle relazioni commerciali globali arriva infatti insieme al rallentamento delle economie (ieri il bollettino periodico della Federal Reserve lo ha confermato), evento che i mercati e i fondi di investimento stanno anticipando premunendosi. Come? Comprando obbligazioni, ritenute ovviamente più sicure delle azioni, in caso di una recessione economica che porterà al rallentamento di tante imprese in Occidente e nei Paesi del Far East.

Noi europei siamo abituati a guardare le cose da un punto di vista «atlantico». Ma l’America ha sempre avuto un’altra prospettiva, quella del Pacifico. Ed è su questo asse il baricentro finanziario del nuovo mondo. Oggi la potenza militare marittima resta l’America, ma la Cina sta crescendo sensibilmente a livello di impero navale commerciale. La sua economia è andata alla conquista di interi continenti, come l’Africa. Anche l’Europa è terra di conquista, con la colonizzazione finanziaria che ha portato all’acquisizione di numerosi marchi. Il 90% di decorazioni e addobbi natalizi venduti nel mondo sono made in China, tanto per fare un esempio.

È questa l’origine della guerra dei dazi degli Stati Uniti, una strategia che si ripete dalla notte dei tempi, fin dalla guerra del Peloponneso raccontata da Tucidide, quando Sparta, preoccupata dalla crescita commerciale e marittima dell’impero di Atene, le dichiara guerra. Oggi il conflitto, combattuto dal sovranista Donald Trump a colpi di dazi, è solo commerciale anche se può avere conseguenze economiche devastanti come l’impoverimento di milioni di persone. Ma un domani che accadrà?

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