Volontari benemeriti
costruttori
di comunità

Viviamo in una società tendenzialmente disgregata, che ha perso punti di riferimento certi e contenitori (i partiti, ma non solo) che una volta svolgevano il ruolo di connettori sul territorio. Siamo reduci dall’epoca (i mitici anni ’80 e ’90) che ha esaltato l’individualismo e il «privato è bello». Ora ci ritroviamo soli, ad affrontare problemi e paure imprevedibili solo un decennio fa, dal lavoro precario al terrorismo. Questo giudizio, nella sua evidenza, rischia però di essere sommario e di consegnarci al malumore, sentimento oggi molto diffuso.

Se si guarda la realtà in controluce si scoprono invece esperienze e tentativi che vanno sostenuti perché rispondono ai mali di questi tempi. Scorrendo ad esempio l’elenco delle benemerenze e delle medaglie d’oro che il Comune di Bergamo ha assegnato per il 2017, risaltano persone e associazioni che si spendono quotidianamente per riconnettere il nostro tessuto sociale. Non siamo cioè di fronte a un atto burocratico, a un rito autocelebrativo ma alla valorizzazione di esperienze che permettono di migliorare la vita delle comunità in svariati campi, dalla scuola per i bimbi malati in ospedale alla sicurezza, dagli invalidi civili alla scienza al carcere.

La parola comunità è citata non a caso. È il luogo della vita sociale e delle relazioni pubbliche, l’antidoto alla solitudine, alla paura e all’individualismo. Può essere definita da una comunanza di ideali o dalla condivisione di spazi. È da qui, dalle comunità che dobbiamo ripartire.

Spesso noi bergamaschi corriamo il rischio di dare per scontata la ricchezza di esperienze che operano costruendo questi luoghi. Il volontariato non è solo una pratica che risolve problemi ai quali altri non danno risposta, ma costruisce relazioni fra sconosciuti, vivacizza i nostri territori con iniziative pubbliche ed è un impegno che non prevede preclusioni. Agisce in molti ambiti e in anni recenti sono sorte anche associazioni di via che non hanno il solo scopo di presidiare il territorio ma di aggregare con momenti di festa, di riprendersi le porzioni del territorio solitamente occupate dal traffico o dalla microcriminalità. Al fondo di questo impegno c’è anche un’idea di libertà diversa da quella distorta che ha caratterizzato gli anni recenti: la libertà di fare ciò che si vuole, magari tutelando i recinti privati e infischiandosene di quelli pubblici. Giorgio Gaber in una canzone affermava che «la libertà non è stare sopra un albero, la libertà è partecipazione». Non è cioè un vivere isolati guardando la realtà esterna da spettatori, ma essere parte di quella realtà cercando di modificarla per quel che ci è concesso.

Il volontariato e l’impegno sociale sono attività che generano anche conoscenza, di persone e di fatti. E conoscenza è un’altra parola chiave di questa epoca. Viviamo connessi a strumenti che ci aggiornano in tempo reale su ciò che accade nei luoghi più disparati del mondo, ma quegli stessi strumenti non ci consentono di conoscere la carne della realtà e dell’umanità a noi più vicina. Rischiamo cioè di essere poveri di quella forma di conoscenza più importante che riguarda la vita delle nostre comunità. In questo senso restano insostituibili i cari, vecchi giornali, che escono vincenti anche dalla sfida sull’attendibilità delle notizie rispetto al rifugio dei social network. Lo scrittore Mark Twain diceva: «Il pericolo non viene da quello che non conosciamo, ma da quello che crediamo sia vero e invece non lo è». Sono parole vergate più di un secolo fa: sembrano scritte oggi, nel tempo delle comunità-social.

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