Per Marisa stasera fiaccolata a Curno
La mamma: ora ci aspettiamo giustizia

Per ricordare Marisa Sartori – o più semplicemente «Mary», come tutti la chiamavano – un gruppo di amiche della venticinquenne uccisa sabato scorso nel garage sotto casa dei genitori, a Curno, ha organizzato per lunedì 11 febbraio, con ritrovo alle 20,30, una fiaccolata tra Mozzo e Curno.

 Il ritrovo è previsto davanti al negozio di parrucchiera dove Mary Sartori lavorava e dove già martedì, il giorno del ventiseiesimo compleanno della giovane vittima, alcuni conoscenti avevano lasciato davanti alla saracinesca abbassata per il lutto due rose bianche e un biglietto di auguri per Mary.

Dalle 20,30 la fiaccolata si snoderà poi verso Curno, a piedi, e i partecipanti raggiungeranno via IV Novembre, la casa dove la parrucchiera viveva con i genitori e la sorella Deborha (ferita, ma fuori pericolo) dopo la separazione dal marito Ezzeddine Arjuon, in carcere a Bergamo. La fiaccolata si concluderà davanti a casa.

«Il nostro dolore non si può raccontare, non c’è niente da dire – ha detto mamma Giusi ai funerali della figlia – . Pensiamo a lei e a Deborha, alla nostra famiglia sconvolta dalla tragedia. Ma una cosa è certa: ora ci aspettiamo giustizia. Una giustizia che ci soddisfi, che possa almeno un po’ confortarci in questa perdita immensa». Mamma Giusi, mano nella mano con il marito Roberto, incrocia lo sguardo dell’avvocato Marcella Micheletti, a cui Marisa aveva raccontato le angherie subite dal marito e che aveva raccolto la sua denuncia, arrivata in Procura il 29 gennaio. Marisa è stata uccisa la sera del 2 febbraio. Ma anche prima della denuncia erano state tante, da parte di Marisa e anche dei suoi familiari, le segnalazioni di maltrattamenti, di appostamenti sotto casa, di minacce fatte dal marito Ezzedine. «Quello che stava accadendo era noto a molte persone – ha ribadito l’avvocato Micheletti, che ora rappresenta la famiglia Sartori – . Credo che si potesse fare qualcosa in più anche prima che Marisa si decidesse a denunciare Ezzeddine. Si doveva essere più tempestivi: i segnali di pericolo c’erano».

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