Fumo di Londra e di polenta

di Giambattista Gherardi

Il mondo è piccolo e, grazie a internet, anche veloce. Bastano pochi clic a qualsiasi navigatore del pianeta per imbattersi nella pagina del Guardian dedicata all’Atalanta, o meglio ai suoi «simboli».

Il mondo è piccolo e, grazie a internet, anche veloce. Bastano pochi clic a qualsiasi navigatore del pianeta per imbattersi nella pagina del Guardian dedicata all’Atalanta, o meglio ai suoi «simboli». Un approccio poco sportivo quello del giornale londinese, con il giornalista pronto ad intingere la penna in un po’ di colore.

Fra le pieghe di un bandierone, ovviamente nero e azzurro, non si è limitato al seppia dei vecchi ricordi, ma ne ha trovate…di tutti i colori. Il problema non sono la parzialità o il supposto snobismo anglosassone (la terra degli hooligans non è pulpito ideale per lanciare crociate), quanto il fianco scoperto che il microcosmo Atalanta presta all’esterno. È evidente che fa più rumore una pianta che cade di una foresta che cresce, ma proprio per questo evitiamo di indulgere a chi lancia sassate all’immagine stessa della Dea.

Fosse stato a Bergamo il giorno di Atalanta-Roma (oppure in mille altre occasioni quando non è successo nulla) il corrispondente del Guardian di cosa avrebbe scritto? Di Bergamo capitale della Cultura? La vera Atalanta, quella su cui vorremmo scrivessero oltremanica e… oltreoceano, è lontana dal fumo dei petardi e più vicina a quello della polenta. È la gioia di quegli inguaribili nostalgici che condiscono il neroazzurro con un po’ di goliardia, qualche cena in compagnia e tanta solidarietà. Sanno che è un gioco, e continuano a giocare. Certo, l’Atalanta è un amore, ma anche un business in cui l’immagine non è un particolare secondario. Per questo quello del Guardian è un campanello d’allarme. Prendiamolo come una sfida : per risalire si parte da Catania e Cagliari, ma senza perdere di vista Londra.

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