L’arbitro con lo spray

di Giorgio Gandola
È bello scoprire che l’era del calcio scientifico comincia in Brasile e che il valore oggettivo della tecnologìa ha la sua incoronazione nel Paese dell’ipotetico, della saudade, del samba, del rio San Francisco attraversato dalle zattere, dove i telefonini non prendono e senza bussola non ce la faranno mai.

È bello scoprire che l’era del calcio scientifico comincia in Brasile e che il valore oggettivo della tecnologia ha la sua incoronazione nel Paese dell’ipotetico, della saudade, del samba, del rio San Francisco attraversato dalle zattere, dove i telefonini non prendono e senza bussola non ce la faranno mai.

Così dopo il gol fantasma di Hurst nella finale del 1966 in Inghilterra (patria dell’Habeas Corpus), dopo i pasticci messicani di DiegoMaradona e della sua mano de dios nel 1986, dopo il tracollo di credibilità dei mondiali in Corea e Giappone del 2002 grazie al testimonial più fiero di quella stagione sportiva (l’arbitro Byron Moreno) è persino commovente vedere una telecamera con sensori decidere in modo inoppugnabile se un pallone è dentro o fuori dalla riga di porta. Nel tennis l’aggeggio si usa serenamente da dieci anni.

E fa tenerezza l’arbitro-giudice-capomastro nell’atto di segnare con lo spray la riga oltre la quale la barriera non può schierarsi senza rischiare l’ammonizione. Ne converrete, in un mondiale svizzero tutto questo sarebbe normale, in un mondiale brasiliano molto meno. Eppure accade e noi ci sentiamo rassicurati. Anche il calcio, dopo mezzo secolo di liti a tutti i livelli, si allinea agli altri sport e soprattutto alla società. E accetta di mettersi in gioco, di applicare regole condivise che possano annullare discrezionalità e di conseguenza pastette. Tutto perfetto. Dopodiché il Messico per vedersi convalidare un gol ha dovuto segnarne tre. Tutti buoni.

© RIPRODUZIONE RISERVATA