Lo Stato fermo in pista

di Giorgio Gandola

«Lo Stato? Sa quanto garantisce lo Stato, in piena congiuntura, di percentuale di ammortamento? Il dieci per cento. Bell’aiuto con i ritmi produttivi odierni. Ma il mondo intanto corre, precipita, vola e non aspetta nessuno mentre Roma risponde con leggi vecchie di cinquant’anni fa».

«Lo Stato? Sa quanto garantisce lo Stato, in piena congiuntura, di percentuale di ammortamento? Il dieci per cento. Bell’aiuto con i ritmi produttivi odierni. Ma il mondo intanto corre, precipita, vola e non aspetta nessuno mentre Roma risponde con leggi vecchie di cinquant’anni fa, con strumenti fiscali, regolamenti, disposizioni inadatte ai tempi. Tutto decrepito. Bisognerebbe sveltire, snellire, capire subito: per risparmiare e contenere i costi. Io spedisco ottocento vagoni al mese, sette all’ora. Fra trasporti e dogane ho un’incidenza del 42 per cento, e i vagoni sono quelli di Umberto I. Ho fatto costruire il piano di carico per i camion ad altezza variabile così gli operai, stando fermi, mettono la merce sull’autocarro che si abbassa a mano a mano che il livello dei pacchi si alza. Sembra l’uovo di Colombo, ma sono sprechi evitati, quattrini risparmiati. E lo Stato che fa? Mi prosciuga».

Non è un imprenditore di oggi, è un gigante di ieri. Giovanni Borghi, mister Ignis, l’uomo che diede un frigorifero e una cucina economica ad ogni italiano, a un europeo su due. Queste parole sono del 1966 in un’intervista al settimanale Oggi. Il miracolo economico era maturo, l’Italia usciva da un periodo di straordinaria vitalità e già l’imprenditore più lungimirante del momento elencava i veleni che avrebbero fiaccato mortalmente il Paese: il fisco, la burocrazia, la lentezza, l’incapacità della macchina pubblica ad essere al passo con l’economia. Quarantasette anni fa come oggi. Mezzo secolo in surplace a sbadigliare. Giovanni Borghi amava il ciclismo su pista.

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