Parola di giudice

di Giorgio Gandola

Oggi l’urlo non è nostro, ma di un giudice. È un grido di dolore scritto del gip di Udine, Francesco Florit, che qualche giorno fa nell’ordinanza di custodia cautelare ha spiegato l’attitudine al furto di cinque ladri moldavi presi con le mani nel sacco.

Oggi l’urlo non è nostro, ma di un giudice. È un grido di dolore scritto del gip di Udine, Francesco Florit, che qualche giorno fa nell’ordinanza di custodia cautelare ha spiegato così l’attitudine al furto di cinque ladri moldavi presi con le mani nel sacco: «Perché alcuni stranieri si fanno migliaia di chilometri per compiere ruberie e altri reati nel nostro Paese? Perché sanno che in Italia la giustizia non è efficiente e il sistema è tale che, dopo poco, si è rimessi in libertà e si può ricominciare».

Il documento è clamoroso per due motivi: è scritto in un italiano chiaro e comprensibile per tutti coloro che non siano laureati in giurisprudenza, e fotografa nell’essenza un problema reale della nostra società.

Il giudice Florit non ha finito: «Rispetto a tali condotte, di cui ormai si legge nella cronaca locale con frequenza allarmante, è necessario adottare la giusta severità, trattandosi di comportamenti gravi e irrispettosi dei diritti altrui».

Difficile trovare un cittadino che non sia d’accordo con questa ricostruzione. Cinque furti, un patteggiamento e via, si ricomincia. Questo è, in definitiva, il motivo per il quale la gente chiede sicurezza. Certezza del diritto e certezza della pena. Ma il sistema giudiziario è lento, macchinoso, pieno di scappatoie e di possibili interpretazioni. Maglie larghe che deprimono il senso di equità. Non lo dice un barista derubato o un politico a caccia di voti. Lo dice un giudice. Vogliamo provare a riformarla, la giustizia?

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