Renzi e quel gelato triste

Quel gelato non è da Renzi. Far venire il carrettino dei coni nel cortile di palazzo Chigi e offrire un «crema e banana» ai giornalisti mettendo in mostra un campionario di smorfie che neanche Charlot, la dice lunga sulla dissimulazione forzata di uno sberlone.

Quel gelato non è da Renzi. Far venire il carrettino dei coni nel cortile di palazzo Chigi e offrire un «crema e banana» ai giornalisti mettendo in mostra un campionario di smorfie che neanche Charlot, la dice lunga sulla dissimulazione forzata di uno sberlone.

È quello ricevuto dall’Economist, che ha raffigurato in copertina il premier dietro Angela Merkel come un nipotino capriccioso che si può rabbonire con un gelato, mentre l’Europa tende ad affondare nonostante gli sforzi di Draghi. Renzi, che da quando è primo ministro ha alzato il livello di permalosità mascherata da affabilità da primo della classe, l’ha evidentemente presa male. Il segnale è solo d’ambiente, non certo di sostanza: le riforme che sta assemblando sono sacrosante. Ma è un segnale.

E ci dice che il blairismo del sindaco di Firenze – inteso come capacità di tirare dritto senza farsi condizionare per il bene del Paese – sta scemando nel nulla. Ricordiamo un passo memorabile delle memorie di Alastair Campbell, lo spin doctor di Tony Blair. Una mattina all’alba il premier lo buttò giù dal letto, furibondo per una vignetta dell’Economist, e gli chiese consiglio sul tipo di reazione: querela, smentita, sarcasmo. Campbell rispose: «Fammi almeno guardare il giornale». Un’ora dopo si presentò a Downing Street con dei croissant e gli disse: «Tu, primo ministro di sua maestà britannica, vorresti davvero rispondere al disegno di un giornale? Dai, facciamo colazione e pensiamo agli inglesi e ai loro problemi». Ecco, in quella forzatura di Renzi abbiamo notato la perdita del baricentro. Con un rischio: gelato dopo gelato si finisce come Monti, come Letta. Surgelati.

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