Schiamazzi in Camera

di Giorgio Gandola
Furibondi, indignati, pronti alla rissa. I dipendenti di Camera e Senato hanno trascorso una giornata lunga e difficile dopo avere subìto, a loro dire, l’ingiustizia suprema: un tetto agli stipendi.

Furibondi, indignati, pronti alla rissa. I dipendenti di Camera e Senato hanno trascorso una giornata lunga e difficile dopo avere subìto, a loro dire, l’ingiustizia suprema: un tetto agli stipendi.

Gli uffici di presidenza di Montecitorio e di palazzo Madama hanno infatti stabilito il massimo salariale in 240.000 (duecentoquarantamila) euro all’anno per i consiglieri parlamentari, al netto della contribuzione previdenziale che vale l’ 8,8%.

Stiamo parlando di 18.000 euro al mese per tredici mensilità, uno stipendio da favola laddove esistono operai, addetti, impiegati, artigiani e giovani laureati che non arrivano a 20.000 euro. Ma all’anno.

Eppure fra gli stucchi antichi dei palazzi del potere l’agitazione è stata massima, le voci hanno rotto silenzi solitamente impenetrabili. I dipendenti parlamentari hanno perso le staffe: applausi di scherno, frasi del tipo «Bel capolavoro, bravi», all’indirizzo dei politici che avevano deciso il sacrosanto (e pure magnanimo) intervento per adeguare una categoria di privilegiati alle nuove regole della pubblica amministrazione.

In tutto questo c’è uno stridore fastidioso: invece di rallegrarsi per la conferma di uno stipendio che rappresenta ancora una manna in questi chiari di luna, i dipendenti di Camera e Senato minacciano azioni di protesta.

E i sindacati, invece di convincerli a far passare sotto saggio silenzio il provvedimento, minacciano battaglia: «Apparirebbe un legittimo esercizio di potere impositivo». Parole vuote. Il mondo è cambiato, il Paese reale è un altro. Ma qualcuno non se n’è ancora accorto.

© RIPRODUZIONE RISERVATA