Treno dei desideri

di Giorgio Gandola

Il treno dei desideri non è Italo, o almeno non ancora. Non stiamo parlando di efficienza e puntualità, ma della situazione finanziaria, che vede la locomotiva rossa di Luca di Montezemolo, Diego Della Valle e Banca Intesa, ancora lontana dal punto di pareggio.

Il treno dei desideri non è Italo, o almeno non ancora. Non stiamo parlando di efficienza e puntualità, che evidentemente non mancano se i passeggeri sono passati da 6 a 10 milioni in un anno, ma della situazione finanziaria, che vede la locomotiva rossa di Luca di Montezemolo, Diego Della Valle e Banca Intesa, ancora lontana dal punto di pareggio, con 77 milioni di passivo su un fatturato di 239. E con 666 milioni di debiti fra prestiti bancari e leasing per l’acquisto da Alstom dei treni ad alta velocità.

C’è da aggiungere che la vita di Italo in un mercato dei trasporti solo a parole liberista come quello italiano è tutt’altro che facile e che il nuovo vettore ha dovuto dribblare sin dall’inizio più di un tranello piazzato fra le rotaie dalle Ferrovie dello Stato, fra denunce all’Antitrust, polemiche sparse e persino cancelli chiusi (alla stazione Ostiense) per impedire ai passeggeri di Italo di salire sui treni.

Una volta superato il primo fuoco di sbarramento, è comparso lo Stato. Lo stesso Stato che ripiana i debiti di Trenitalia quando si fanno pesanti, ha deciso di aumentare la bolletta elettrica di 1,20 euro per ogni chilometro percorso (articolo 29 decreto competitività), scherzetto che per Italo vale l’esborso di 20 milioni in più all’anno. La batosta è pesantissima, prendere o lasciare.

L’amministratore delegato Antonello Perricone si è trincerato dietro una battuta di puro sarcasmo: «Tutti sono favorevoli alla concorrenza. A parole». Italo non ha intenzione di arrendersi. Ma se nel nostro sistema non c’è garanzia per gli investimenti italiani, figuriamoci per quelli stranieri.

© RIPRODUZIONE RISERVATA