Presidenti che ci mettono la faccia

di Ettore Ongis

Nei giorni del passaggio di testimone, parliamo per una volta in termini non calcistici dell'Atalanta, la più amata dai bergamaschi. Molti appassionati e tifosi, ma anche cittadini senza patria sportiva, hanno voluto esprimere la loro riconoscenza alla famiglia Ruggeri, che per 16 anni ha guidato la società nerazzurra, e hanno dato il benvenuto, o meglio il bentornato, alla famiglia Percassi. Due gruppi imprenditoriali, bergamaschi doc, che si sono presi sulle spalle l'onore e l'onere di tenere alta una delle bandiere di Bergamo. Non sarebbe la stessa cosa se la squadra della nostra città fosse nelle mani di persone che non hanno legami diretti con la Bergamasca.

Condurre una società di calcio, e l'Atalanta in particolare, è un privilegio ricco di soddisfazioni ma anche un sacrificio economico, sovente ripagato da critiche e impopolarità se i risultati sul campo non corrispondono alle attese o se il feeling fra proprietà e tifosi non si crea. Ne sanno qualcosa i Ruggeri, per lungo tempo guardati con sufficienza nonostante i risultati abbiano premiato la loro gestione, ma ne sa qualcosa anche Antonio Percassi, già presidente negli Anni Novanta. Per fortuna il tempo sana le ferite e l'oggettività dei fatti si prende sempre la rivincita sulle chiacchiere. Bergamo deve dunque riconoscenza alla signora Daniela Ruggeri - una moglie e madre esemplare - e ai figli Francesca e Alessandro. Anche in condizioni difficilissime hanno saputo portare avanti con dignità il desiderio di papà Ivan di vedere l'Atalanta primeggiare a livello nazionale. Ivan, caduto in un sonno lunghissimo, può essere giustamente orgoglioso della sua famiglia. Con lui mille volte ci siamo confrontati e anche scontrati, ma sempre in modo leale e rispettoso. Ci mancano le sue sfuriate e i suoi musi lunghi, più ancora il suo affetto e la sua genuina spontaneità.

La palla torna ora ad Antonio Percassi, l'ex giocatore, ex capitano, ex presidente diventato negli anni uno degli imprenditori di maggior successo della nostra provincia. Un uomo la cui passione per l'Atalanta è fuori discussione e le cui scelte imprenditoriali hanno avuto una notevole incidenza, anche in termini occupazionali, sul nostro territorio. Nella realtà viva di una città la differenza la fanno non tanto i grandi discorsi di principio quanto il coraggio di qualcuno di rischiare di persona, mettendoci la propria faccia e i propri soldi, per qualcosa che va oltre l'interesse personale e che appartiene, in qualche modo, alla collettività stessa. Che si tratti dell'ospedale piuttosto che del Gleno, della Fondazione Angelo Custode piuttosto che dell'Atalanta, solo per fare degli esempi. L'Atalanta, lo sappiamo tutti, è patrimonio comune dei bergamaschi. Rappresenta, per così dire, una «quasi istituzione». E questa sua natura particolarissima impone a chi la gestisce una responsabilità più grande. Perché nessuno, neppure il legittimo proprietario, può dirsi pienamente padrone di un bene che è simbolicamente di tutti.

Nei confronti di realtà simili serve un surplus di consapevolezza e di pudore perché chi ne è temporaneamente alla guida avrà sempre e comunque il dovere di tener conto di tutto il resto: dei tifosi, della città e del buon nome di Bergamo nello sport. Quest'anno i nerazzurri giocheranno in B e, per quanto dispiaccia agli appassionati, non è un dramma. Altre volte è capitato e l'Atalanta ha sempre ritrovato l'energia e l'umiltà per risalire. Quello che ci auguriamo è che anche nel tifo calcistico si apra una nuova stagione, nella quale Bergamo non debba più vergognarsi delle bravate di una parte della tifoseria che mettono in cattiva luce sia la società nerazzurra sia la città. L'aggressione ai tifosi interisti in centro è stata il punto più grave e intollerabile di questa deriva. La vittoria più esaltante sarà quando «andare all'Atalanta» potrà essere vissuto da tutti - già succede in molte città d'Europa - come un momento di vera festa.

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