Bourifa: Cous cous o polenta?
«L’importante è stare insieme»

La polenta come se fosse cous cous. Migidio Bourifa è bergamasco che più bergamasco non si può, è nato a Casablanca solo per motivi logistici e ha gli stessi vizi e le stesse abitudini di un qualsiasi residente di Albino.

La polenta come se fosse cous cous. Migidio Bourifa è bergamasco che più bergamasco non si può, è nato a Casablanca solo per motivi logistici e ha gli stessi vizi e le stesse abitudini di un qualsiasi residente di Albino. Dal paese dei genitori vorrebbe però esportare la consuetudine di stare in famiglia nei momenti di riposo, come la domenica, moda che, a queste latitudini, sta sfumando: «Purtroppo, in Italia si sta perdendo un certo tipo di cultura: fino a qualche anno fa, il pranzo con la famiglia era un momento immancabile alla domenica, mentre ora la gente tende un po’ a farsi gli affari propri, resa frenetica da una vita che va sempre di corsa. Mi accorgo che nei paesi arabi, invece, tutto è ancora come da noi era qualche anno fa: ogni domenica, ci si trova tutti, con nonni e nipotini, a mangiare il cous cous. Vorrei succedesse anche qui, con la polenta».

Non che il bergamasco di Marocco non si impegni a salvaguardare le buone abitudini, specie ora che ha chiuso con l’attività agonistica, che gli ha regalato una lunga sfilza di allori nella maratona: «Oggi ho una normale attività e alla domenica, non lavorando, ne approfitto per stare con mia moglie Silvia e con le mie bambine, Martina e Gaia. Pranzo con i nonni e poi, nel pomeriggio, un gelato in paese, piuttosto che una gita al lago; alla sera, invece, una bella pizza al ristorante».

Tutto più facile dopo il ritiro dalle scene di un paio di anni fa, ora che l’atletica non è più il centro di tutto: «Quando ero ad alti livelli, ricordo molte domeniche con l’impegno sportivo in primo piano: magari i raduni fuori città, in cui mi allenavo alla mattina e poi potevo riposarmi oppure dedicarmi a una lunga passeggiata. Quando invece ero agli inizi, i doveri erano meno pressanti e spesso, dopo l’allenamento o la gara mattutina, facevo in tempo a correre a casa per il pranzo». Lo spettro delle memorie corre all’indietro, agli inizi di una carriera salpata verso le vette più alte relativamente tardi: «Fino ai ventinove anni ho continuato a lavorare come perito elettronico, almeno part-time: alla domenica, dunque, gli allenamenti non sono mai mancati. Solo a quella età, ho deciso di tentare di intraprendere la strada sportiva al cento per cento: ho lasciato il lavoro, ma con la sicurezza che, in caso mi fosse andata male, l’avrei ritrovato. I ragazzi di oggi, visti i tempi, non hanno questa possibilità: mi fossi trovato io in questa situazione, forse avrei dovuto lasciare perdere i sogni», spiega Migidio, quarantacinque anni compiuti a gennaio.

I ricordi sullo sfondo sono quelli di gioventù: «Verso i diciotto anni, per qualche tempo, ho trascorso le domeniche lavorando come garzone in un ristorante. Ai tempi dell’adolescenza, invece, il pranzo della domenica era quasi un obbligo e io facevo di tutto per svignarmela subito dopo mangiato: correvo all’oratorio per giocare con gli amici o guardare il film delle 16, che era un vero e proprio rito domenicale. I grandi, invece, continuavano a chiacchierare tutto il pomeriggio: in casa mia, a Casnigo, dove abitava la famiglia Bourifa, arrivava ogni settimana un parente da fuori, oppure, più spesso, qualche amico di papà, che per me e le mie due sorelline era come uno zio acquisito». Giunti alla fine della panoramica, rimane il Migidio bambino: «I primi ricordi sono le lezioni di catechismo alla domenica mattina e il pomeriggio trascorso in oratorio a Casnigo. Oppure in una scuola materna gestita dalle suore, che mettevano a disposizione il cortile o la palestrina: noi bambini trascorrevamo intere giornate in quel luogo ed era una gioia infinita».

Riti domenicali, che al giorno d’oggi si stanno perdendo, triturati dalla frenesia del terzo millennio: «La gente ha sempre meno tempo libero e spesso utilizza il weekend per le attività che non è riuscito a completare in settimana. Da un certo punto di vista è inevitabile, ma sarebbe giusto che qualche piccolo rito lo si conservasse: il riposare e lo stare insieme, per esempio».

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