Ricordando Atalanta-Malines
Le vostre storie e una gioia lunga 30 anni

Giovedì il trentennale della storica partita Atalanta-Malines. Ecco alcune storie di voi lettori: i vostri ricordi e le vostre emozioni. Raccontaci ancora la «tua» partita.

Trent’anni e un brivido. Nel ricordo, persino sfiorare una tastiera per raccontare quella notte riaccende un’emozione. Che storia, quella storia. La sfida del sentimento, mettere per iscritto – come hanno fatto i nostri lettori – frammenti di memoria di Atalanta-Malines, 20 aprile 1988, induce a scavare nel cuore: «Anche a scrivere questa mail mi è venuta la pelle d’oca», racconta Lorenzo Pagnoni, all’epoca quattordicenne sugli spalti del «Comunale».

Qualcuno, prima che sui gradoni, aveva calcato il campo appena prima che lo facessero lo stesso Strömberg e gli altri campioni inarrivabili: «Ricordo benissimo quella serata fantastica – è la mail di Matteo Bosco –: avevo 11 anni e con la squadra del mio paese, il Castel Rozzone, avevamo giocato prima della famosa semifinale. Avevamo incontrato anche alcuni giocatori sotto la tribuna centrale, in palestra, stringendo loro la mano».

Qualcun altro provò il brivido di sentirsi al centro del mondo per un attimo, allenatore come il Mondo, ma alla guida di bambini scatenati con gli occhi sgranati: «Quella sera, le squadre dei Pulcini del Castel Rozzone, con il Clusone e il Sarnico erano state invitate a disputare un torneo allo stadio proprio prima di Atalanta-Malines. Ero l’aiuto allenatore dei Pulcini del Castel Rozzone – ricorda Eugenio Cherubini dalla Bassa –: ho provato una grande emozione nel sedermi su una panchina da cui erano passati grandi allenatori, ma soprattutto nel vedere i Pulcini di un paese sconosciuto ai più giocare di fronte a migliaia di spettatori, che sportivamente applaudivano i piccoli campioni come fecero poi coi grandi».

Data impossibile da dimenticare, già. Lo è, soprattutto, se con quella partita s’intrecciano momenti incisi nella vita: «È stato anche il giorno del mio congedo dagli Alpini, Battaglione Cividale – testimonia Manuel Caironi, bergamasco che oggi vive alle Canarie –. Arrivai alla stazione dei treni di Bergamo da Chiusaforte (in provincia di Udine, dove c’era la caserma, ndr) verso le 18: abbracciai e baciai mia madre Zita, le consegnai il borsone e il cappello d’alpino e lei mi diede il biglietto della Curva Sud. La ringraziai e con passo d’alpino mi recai al “Brumana” (il nome dello stadio di Bergamo prima di chiamarsi Comunale e poi Atleti azzurri d’Italia, ndr), dove m’incontrai con mio padre Renato e mio fratello Ivan».

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