«Ansia post Covid, casi gravi a Bergamo»
I risultati dello studio del Mario Negri

L’istituto Mario Negri ha indagato sull’impatto psicologico del coronavirus in Italia e in Bergamasca. Nelle aree più colpite è stata rilevata più incidenza di sofferenza dovuta a depressione, ansia e sintomi fisici.

Spesso vengono definiti impropriamente «danni collaterali». Depressione, ansia, stress, disturbi comportamentali: non hanno nulla di «collaterale» nella vita di una persona, anzi, possono diventare mali totalizzanti. Eppure in questi mesi di caos, con il coronavirus a stravolgere drammaticamente le vite di tutti, questi problemi sono rimasti sottotraccia. Relegati a preoccupazione futile, da porre in secondo piano rispetto alle terapie intensive colme di pazienti in fin di vita o al pericolo costante di contagio che ha visto la provincia di Bergamo al centro dell’epidemia mondiale.

Proprio in Bergamasca questi danni «collaterali», ora che il peggio sembra essere (quasi) passato, vengono alla luce grazie a uno studio approfondito svolto dal dipartimento di Salute Pubblica dell’Istituto Mario Negri. L’aumento dei problemi psicologici avviene in tutte le situazioni di crisi come in caso di attacchi terroristici, calamità naturali, eventi tragici: è successo, com’era prevedibile, anche durante questa inedita minaccia invisibile che ha colpito con forza le comunità e costretto il mondo intero a pesanti misure restrittive come la chiusura totale, l’impossibilità di uscire di casa e vedere i propri cari.

In Bergamasca, poi, si sono aggiunti migliaia di lutti affrontati senza il conforto di quei momenti, come il funerale, fondamentali nella difficile fase dell’accettazione. Queste e mille altre spiegazioni possibili, ancora tutte da indagare, sono al centro dei dati presentati ieri dall’istituto Mario Negri che ha individuato proprio in provincia di Bergamo una maggiore incidenza dei problemi di impatto psicologico.

La ricerca è stata condotta attraverso un questionario di 48 domande pubblicato tra il 6 e il 20 aprile. Sono stati raccolti dati demografici e informazioni sui sintomi fisici nei precedenti 14 giorni della compilazione di 20.158 persone, di cui il 59,1% dalla Lombardia. Dalle risposte è evidente che la provincia di Bergamo è la più colpita, anche psicologicamente. Nella mappa delle risposte elaborata dall’istituto si può osservare come i casi più gravi siano rilevati tra la Valseriana e la città.

Maurizio Bonati, responsabile del dipartimento di salute pubblica del Mario Negri, spiega che «considerando i dati provenienti dalla Regione Lombardia, è stata osservata una correlazione negativa tra il disturbo psicologico e la distanza dal luogo di residenza da una zona considerata «rossa», quella tra Nembro e Alzano. Più ci si allontana, con un modello di propagazione circolare, e più i sintomi diminuiscono». Il raggio individuato di prevalenza «è stato rilevato fino a 25 chilometri dalla zona rossa, in particolare di grave sofferenza fino a 15 chilometri».

In totale 10.540 partecipanti (52,6% del totale) hanno riportato un impatto psicologico nel corso del periodo di quarantena. Più specificamente, 8.897 (44,1%) hanno riportato un impatto psicologico lieve o moderato e 1.081 (5,3%) hanno riportato un impatto grave. Per quanto riguarda il tipo di disagio psicologico, 2.003 (9,9%) hanno riportato sintomi depressivi di moderata-grave entità. 1.131 (5,6% del totale) hanno riportato sintomi di ansia. 802 (il 4%) invece hanno riportato di soffrire di sintomi fisici di moderata-grave intensità.

Ad essere più colpite sono state le donne che, come spiega la ricercatrice Giulia Segre, «hanno provato più frequentemente sentimenti di vuoto. Si sono sentite indifese e spesso hanno riscontrato problemi a prendere decisioni. Non tutti i soggetti hanno la stessa capacità di resilienza o le stesse reazioni emotive a un evento particolarmente stressante. I sintomi possono essere considerati simili a quelli che seguono un evento post traumatico da stress, ma sono più lievi e si presentano per un periodo di tempo meno prolungato».

Quali sono le conseguenze sul lungo periodo? E soprattutto quali interventi servirebbero per affrontare queste ripercussioni ed evitare che diventino croniche? Domande a cui si può rispondere solo con uno studio ancora più approfondito, esaminando casi specifici. Domande che si pone anche Corrado Barbui, direttore del Centro OMS di ricerca in salute mentale dell’Università di Verona. «Bisogna indagare sulle cause del disagio. Viene dalla quarantena? Dalla paura o dal coinvolgimenti in casi di Covid? Da disagi pre esistenti? E questi disagi rimangono anche a settimane di distanza oppure se ne vanno? Da un punto di vista epidemiologico e clinico è molto importante indagare l’evoluzione nel tempo».

Secondo la giornalista e divulgatrice scientifica Roberta Villa adesso «c’è molta voglia di uscire e lasciarsi alle spalle tutto. Ma c’è anche la paura e la sensazione che la casa abbia dato un senso forte di protezione. Si è sviluppato un senso di difficoltà a riprendere la vita normale».

La forza di affrontare questi problemi arriva anche dalle tante forme di sostegno psicologico attivate sul territorio. Quella più importante è stata lanciata da Ats Bergamo che da marzo ad aprile ha avuto oltre mille contatti ed ha gestito oltre 1.700 telefonate. Un servizio che ha «l’obiettivo di supportare la popolazione, gli operatori sanitari e la comunità nell’affrontare il pesante carico emotivo causato dall’emergenza coronavirus, riducendo lo stress legato alla situazione, contenendo gli stati d’ansia che possono attivarsi e offrendo uno spazio di ascolto in cui portare le proprie angosce». Come dimostrano i dati dell’istituto Mario Negri, anche nei prossimi mesi sarà un servizio fondamentale.

Se sei in una situazione di disagio psicologico, puoi chiamare il numero verde attivato dal ministero - 800.833.833 - attivo tutti i giorni dalle 8 alle 24.

IL VIDEO DELLA PRESENTAZIONE DELLO STUDIO

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