Yara, il pm: condannate Bossetti
«Ergastolo con 6 mesi di isolamento»

La requisitoria del pm di Bergamo Letizia Ruggeri per il processo a carico di Massimo Bossetti, accusato del delitto di Yara.

Poco prima delle 20 il pm Letizia Ruggeri ha chiesto l’ergastolo e 6 mesi di isolamento per Massimo Bossetti. Il muratore di Mapello è rimasto impassibile davanti alla richiesta del pm, mentre la sorella Laura - in lacrime - è stata l’ultima a lasciare l’aula. La richiesta di condanna, in un’aula affollatissima, è arrivata dopo 5 ore di requisitoria nel pomeriggio di mercoledì 18 maggio e altre 8 ore venerdì scorso, un intervento-fiume nel corso del quale il magistrato ha ripercorso tutte le tappe dell’inchiesta sull’omicidio di Yara. Le accuse nei confronti del muratore sono di omicidio volontario pluriaggravato e calunnia ai danni di un collega di lavoro. Secondo il pm su Yara Gambirasio «si è voluto infliggere particolare dolore e ci si è riusciti». Il pubblico ministero lo ha detto per motivare l’aggravante, nei confronti di Massimo Bossetti, delle sevizie e della crudeltà. Per il pm «non vi è dubbio che l’ omicidio sia volontario». «Abbandonandola in quel campo - ha aggiunto - si è causata volontariamente la morte» della ragazzina.

Il pm Ruggeri nell’udienza di oggi ha evidenziato che «non è possibile individuare un movente» per il delitto di Yara o affermare che la vittima e Bossetti si conoscessero. Le ipotesi sono due: «O Bossetti l’ha convinta a salire – ha detto il magistrato durante la requisitoria – o l’ha tramortita». Per il pubblico ministero il delitto sarebbe da ricondurre a un’«incapacità di controllarsi» di Bossetti: su questo punto Letizia Ruggeri nella sua requisitoria davanti alla Corte ha fatto un paragone con il caso giudiziario del camionista di Verdellino Roberto Paribello, che nel 2002 dopo un incidente stradale sequestrò e uccise una ragazza gettando poi il corpo in un canale dell’Enel a Marne di Filago: nel marzo 2005 la Corte di cassazione confermò, con sentenza definitiva, i giudizi di primo e secondo grado, punendo il camionista con il carcere a vita.

Il pm Letizia Ruggeri, pur spiegando che non è possibile stabilirlo con certezza, nella requisitoria ha detto che «l’incontro fatale» con l’imputato Massimo Bossetti «non è accaduto davanti alla palestra» da cui Yara scomparve, ma nei pressi dell’abitazione della ragazza in via Morlotti oppure in via Rampinelli, due strade che la tredicenne avrebbe dovuto necessariamente percorrere per tornare a casa. Il pm ha anche descritto le ricerche a sfondo pornografico ritrovate nei computer di casa Bossetti.

Durante l’udienza Ruggeri si è soffermata al lungo sulle consulenze della difesa, cercando di smontarle. A proposito degli accertamenti sulle telecamere di Brembate Sopra, ha spiegato che «l’uscita di Yara» dal centro sportivo «è compatibile con il passaggio di Bossetti», mentre per quanto riguarda le fibre tessili trovate sui suoi indumenti ha spiegato che il «furgone di Bossetti è idoneo a generare fibre come quelle».

Sempre sul tema del furgone di Bossetti, poco prima, in aula è salita la tensione, tanto che il giudice Antonella Bertoja è intervenuta per interrompere i commenti del pubblico. Ruggeri ha infatti «smontato» le misurazioni condotte dal consulente della difesa Ezio Denti, secondo il quale il «passo» (distanza tra le ruote, ndr) del mezzo ripreso nei filmati della ditta Polynt sarebbe diverso da quello del furgone di Bossetti. Il pm ha parlato di «approssimazione» delle misurazioni del consulente e «mancanza di prospettiva», mettendo dunque in dubbio la validità degli accertamenti della difesa. Durante questi passaggi della requisitoria dal pubblico si sono sentiti commenti e mormorii, il giudice Bertoja è intervenuta dicendo: «Non siamo al cinema».

Letizia Ruggeri ha spiegato che oltre alla «prova genetica», ovvero al dna che rappresenta «il faro dell’inchiesta», a carico del muratore di Mapello vi è «un corollario significativo» di indizi caratterizzati da «gravità, precisione e concordanza»: i tabulati telefonici dell’imputato e le immagini del mezzo ripreso dalle telecamere di sorveglianza della zona. «Elementi che vanno letti complessivamente» e che dimostrano come «non cercammo di cucire addosso degli elementi, ma cercammo riscontri in quello che già c’era».

I tabulati telefonici di tutte le persone che transitarono a Brembate il 26 novembre 2010 e le immagini delle telecamere - ha ricordato l’accusa - furono acquisite, infatti, nei giorni immediatamente successivi alla scomparsa della ragazza, mentre la figura di Bossetti comparve nel giugno 2014. Celle telefoniche, telecamere e la comparazione del furgone per i quale c’è un «alto grado di compatibilità» con quello di Bossetti rappresentano per il pm gli indizi significativi e concordanti che dimostrerebbero la colpevolezza del muratore di Mapello.

Nella prima parte della requisitoria, venerdì scorso, Letizia Ruggeri ha ripercorso in aula tutte le fasi del caso: dalla scomparsa alle ricerche, fino al ritrovamento del cadavere. E proprio sul corpo di Yara si è soffermata, specificando la tipologia di lesioni rinvenute, le armi che si suppone siano state usate e l’agonia a cui è stata sottoposta la ragazzina. Dettagli che il pm ha voluto specificare, parlando di morte per «ipotermia e lesioni», proprio per sottolineare come «chi ha ucciso Yara Gambirasio si è accanito». «Sulla tredicenne - ha spiegato il pm - incapace di difendersi perché tramortita con un corpo contundente, furono inferte delle ferite, non mortali, e che sembra avessero lo scopo di infierire sulla ragazza». Yara «avrà provato paura e dolore», ha evidenziato il magistrato.

Il pm nella scorsa udienza ha anche elencato i capi di imputazione, specificando oltre al reato di omicidio, la calunnia e le due circostanze aggravanti: la cosiddetta minorata difesa (per aver «approfittato di circostanze di tempo e di luogo – un campo isolato – di tempo – in ore serali/notturne – e di persona – un uomo adulto contro un’adolescente di 13 anni – tali da ostacolare la difesa») e, la seconda, l’aver «adoperato sevizie e aver agito con crudeltà». Quest’ultima è un’aggravante che consente di invocare la pena dell’ergastolo.

Su L’Eco di Bergamo del 19 maggio due pagine di approfondimento

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