Gerusalemme chiama, Bergamo c’è
Nasce progetto sull’ospedale cattolico

Un gemellaggio per realizzare un progetto di collaborazione sanitaria internazionale a Gerusalemme: è questo il significato dell’accordo firmato da Asst Papa Giovanni XXIII, Diocesi di Bergamo e Saint Joseph Hospital (Sjh).

La struttura è un ospedale non profit che opera a favore della popolazione in East Jerusalem, West Bank e Gaza Strip dagli anni ‘50, senza alcuna distinzione. Il Sjh conta reparti medici e chirurgici, la terapia intensiva, day hospital e un Dipartimento materno infantile. Il personale potrà svolgere un periodo di training di quattro settimane al Papa Giovanni, focalizzato in particolare sulla gestione di pazienti in emergenza-urgenza e pronto soccorso, adulti, bambini e neonati in terapia intensiva, con gravidanza a rischio e in ambito medico e chirurgico.

La Diocesi di Bergamo, nell’ambito delle iniziative di formazione della Comunità cristiana sul tema del dolore e della malattia, si farà carico dell’ospitalità e del pernottamento dei tirocinanti del Sjh, al Seminario Vescovile Giovanni XXIII. Gli operatori del Papa Giovanni a loro volta potranno recarsi al Sjh per verificare la messa in campo delle tecniche e dell’organizzazione oggetto del tirocinio. L’accordo vale due anni e potrà essere rinnovato. Si tratta di un’iniziativa che conferma la vocazione internazionale dell’ospedale di Bergamo, struttura di riferimento a livello regionale, nazionale e internazionale.

«I rapporti consolidati con la comunità scientifica mondiale e la presenza di settori specialistici in grado di offrire protocolli di trattamento medico-chirurgico con standard elevati – ha commentato il direttore Carlo Nicora – ci consentono di incarnare appieno la visione strategica di Regione Lombardia, che punta sulla promozione internazionale e sulla cooperazione solidaristica per migliorare la salute delle persone. Mettiamo a disposizione conoscenze ed esperienze per contribuire allo sviluppo di altre realtà sanitarie».

Pier Francesco Meneghini, presidente del Consiglio d’amministrazione del Gemelli Medical Center - struttura che ha segnalato il Papa Giovanni come centro idoneo a venire incontro alle esigenze del Saint Joseph Hospital e che ha messo in contatto l’ospedale bergamasco con quello palestinese -, ha ricostruito:«La Chiesa italiana ha sempre molto a cuore quel che accade in Terra Santa specie in questi anni così difficili. Il Medical Center segue da anni quel che accade a Gerusalemme e in questo contesto abbiamo conosciuto il Saint Joseph Hospital, di altissimo livello per un contesto così difficile. Questo gemellaggio tiene viva la vicinanza fra popolazioni in conflitto e soddisfa l’esigenza di accrescere competenze e favorire la formazione».

Il vescovo di Bergamo, Francesco Beschi, a proposito dei rapporti fra la Chiesa bergamasca e la Terra Santa, ha ricordato: «Esiste un rapporto molto sentito fra Diocesi e Ospedale Papa Giovanni, coltivato nel tempo e alimentato anche dall’attenzione nei confronti della Terra santa, dove i pellegrinaggi sono espressione della fede ma anche di vicinanza morale e concreta alle comunità cristiane che tutt’oggi sono presenti in Terra Santa. Siamo vicini come Diocesi a questo progetto, offrendo accoglienza per chi verrà a formarsi nella nostra città. Papa Giovanni XXIII disse nel 1906, nel suo primo e unico pellegrinaggio in Terra Santa, che Gerusalemme è sempre la città santa per eccellenza e nessuna città al mondo, nemmeno Roma, può sostenere il confronto con lei, per i suoi monumenti, le sue memorie e la luce che da essa irradia» .

Carlo Vimercati, presidente della Fondazione della Comunità Bergamasca, ha ricordato come i bergamaschi siano vicini da tempo alle opere messe in atto a Gerusalemme per sostenere la popolazione e ha sottolineato: «Crediamo che questa sia un’ iniziativa strategica e daremo il nostro sostegno». Monsignor Claudio Giuliodori, assistente spirituale dell’Università Cattolica del Sacro Cuore, ha sottolineato come questi percorsi di scambio rappresentino sempre un reciproco arricchimento. «Papa Francesco ci invita non solo a pregare per le popolazioni del Medio Oriente, ma a generare concreti momenti di solidarietà. Il nuovo Umanesimo è soprattutto accoglienza dell’umanità sofferente ed espressione del volto del Padre misericordioso. Per questo anche un’Università, luogo di studio e di ricerca, può essere un luogo di misericordia che risponde con intelligenza e creatività a bisogni concreti».

Jamila Koussa, direttore generale del Saint Joseph Hospital, ha spiegato: «Il Saint Joseph Hospital è l’unico ospedale cattolico in Gerusalemme. È un piccolo ospedale nato nel 1956 con 150 posti letto, che cura tutti, senza distinzione di religione, sesso e lingua e offre possibilità di lavoro alla minoranza cristiana. Nel nostro piano di sviluppo abbiamo intenzione non solo di migliorare la nostra dotazione tecnologica e di arrivare a 350 posti letto, ma anche di ampliare le competenze dei nostri operatori, perché senza queste le nuove apparecchiature sarebbero inutili. Per noi è fondamentale anche approfondire la conoscenza della cultura italiana, perché un gran numero di nostri pazienti sono pellegrini e operatori di Organizzazioni non governative che provengono dal vostro Paese. Il nostro obiettivo è di diventare il più grande ospedale palestinese a Gerusalemme in accordo con il Ministero della Sanità. Per questo l’accordo siglato oggi segna un punto di svolta nella storia del Saint Joseph Hospita».

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