Il sindaco Gori: «Dopo le fusioni
una Bergamo più moderna e digitale»

Le fusioni sono di moda e Bergamo è ancora una volta all’avanguardia: ne abbiamo in atto tre. Tutte delicate, tutte diverse, tutte con lo stesso destino: cambiare nel bene e nel male lo skyline strategico della città. Ubi Banca, Sea-Sacbo, Italcementi; difficile pensare che tutto sarà come prima.

Solo fino a qualche anno fa la banca, l’aeroporto, l’esempio più antico di capitalismo famigliare legato al territorio costituivano pilastri imprescindibili, certezze economiche e sociali per una città in competizione col mondo. E rifugi accoglienti nei momenti difficili. Ma la lunga stagione delle scalate in solitaria è finita. «Piccolo è bello», era il motto. Oggi piccolo è solo piccolo e le sfide vanno vinte al di là del profilo delle Orobie.

Bergamo sta già guardando oltre i totem, sta già inventando un futuro modellato diversamente per essere all’altezza di quel passato senza pretendere di riviverlo, perché non c’è più. È il grande tema del momento e il sindaco Giorgio Gori è l’interlocutore più adatto per scrutare il futuro e trarne indicazioni interessanti.

Signor sindaco, la prima fusione è imposta dallo Stato; Ubi Banca Spa continuerà ad avere un’anima popolare e a rappresentare il territorio che la fa diventare ricca?

«Arriviamo a questo passaggio perché forzati da una legge. La mia prima riflessione è se le banche cooperative dovevano aspettare tanto o potevano autoriformarsi nel tempo. La normativa non premia Bergamo, questo lo sappiamo, ma non intoniamo canti funebri. Vedo alcuni elementi di garanzia molto chiari. Uno è che la sede legale resta qui e banalmente anche le tasse continueranno ad essere pagate qui. Un altro è che, pur esprimendo una componente azionaria nettamente inferiore ad altre città, Bergamo avrà il presidente della banca. E questo è un elemento di forza».

Il peso specifico delle azioni pende fortemente verso Brescia, anche questo è un elemento di forza. Ma per loro.

«Noi bergamaschi abbiamo due aspettative legittime. La prima, che la maggiore efficienza della Popolare di Bergamo sia la traccia maestra; i numeri ci dicono che abbiamo davvero da insegnare come si possa rendere efficiente e molto vicina al territorio un’istituzione del credito. La seconda è che la fondazione territoriale sia la chiave fondamentale per mantenere vivo il rapporto con la città. Chi paventa che le imprese o le famiglie possano non trovare più lo stesso ascolto è un pessimista. Sarebbe un suicidio per una banca non continuare ad essere vicina ai propri clienti. E non è detto che in futuro la galassia di piccoli azionisti bergamaschi che oggi non è rappresentata unitariamente non possa trovare poli di aggregazione per far valere il suo peso. Se oltre al Patto dei Mille, che ritengo molto positivo, si potesse allargare la rappresentanza ai medi e piccoli azionisti, l’equilibrio sarebbe ristabilito».

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