La polleria e quelle spese segnate sul «libretto blu»

L’AMARCORD. Quando Città Alta era una grande famiglia.

A volte basta solo una notizia. Come quella della polleria-macelleria Fracassetti che, senza più Marco e Nadia al timone, prosegue comunque l’attività. Basta una notizia per catapultarti indietro nel tempo, che è passato inesorabile, ma è sempre generoso di ricordi. In quel tratto di via Gombito c’è raccolto un importante pezzo di vita di tanti ragazzi che, come noi, hanno attraversato gli anni ’60 e ’70 senza rendersi conto appieno di quanto fossero felici, avventurosi, pieni di prospettive e con pochi affanni.

Basterebbe appunto la storia della famiglia Fracassetti, importante come molte altre che contribuirono al commercio di una Città Alta dov’era ancora possibile trovare svariati bar dove bere un calice di rosso e fare una partita a briscola. Ebbene Luigi Fracassetti, da Mornico al Serio, aprì la polleria nel 1952, insieme alla sua sposa Adele, che aveva conosciuto nel negozio di ortofrutta in Bergamo bassa. «In Borg» – come veniva definita dagli abitanti città-altini. Per anni, in quella bottega, si commerciò prevalentemente pollame: galline, tacchini, faraone, quaglie, uccelli (quando ancora si poteva), uova, anche conigli. Per la macelleria ci si doveva rivolgere, appena più in là, alla famiglia Zanetti. È stato Marco Fracassetti, quando prese le redini del negozio insieme alla moglie Nadia (che, per amore, abbandonò la sua professione di infermiera), a dare un notevole impulso con l’introduzione della carne, dei salumi, dei formaggi, delle specialità del territorio che tanto attirano i turisti più di un qualsiasi souvenir da posizionare sulla credenza.

In famiglia erano venuti su tutti bene, i quattro fratelli: Angelo, Marco, Pinuccia (purtroppo volata via, troppo presto, nel 2016) e la sua gemella Rosalba. Tutti laureati. Fin da bambini, però, finiti i compiti, aiutavano i genitori a tarda sera, in negozio, a spennare i polli.

A voler ricordare, in quei tempi, si lavorava tutti molto presto nelle aziende di famiglia, in bottega come al ristorante, mentre nei momenti liberi ci si trovava in piazzetta Verzeri (ora Angelini) a giocare a pallone con l’incubo dei vigili (i «Capelù») che ci davano una caccia spietata, tempestati dalle telefonate di torve megere che vedevano in noi il male assoluto. E si aspettava il mese di maggio per accorciare la Messa, scappare da don Vitale, noi maschietti, e da suor Costanza, le femminucce, per un giro sulle Mura alla ricerca delle prime cotte.

E in via Gombito si faceva la spesa tutti i giorni. Dal signor Locatelli nel minimarket Vegè, un’autentica novità commerciale, da storici panettieri quali Nessi, Tresoldi e Farioli, al «Bottegone» per l’ortofrutta dove le carrube erano una primizia, dalla latteria di piazzetta San Pancrazio alla gastronomia di Angelo Mangili che, ringraziando il cielo, c’è ancora, ma spostata in via Colleoni.

Tempi in cui era normale fare la spesa, non pagare, ma segnare sul libretto, rigorosamente blu, e saldare a fine mese, quando arrivavano a casa gli stipendi. E in quel mondo meraviglioso succedeva che la signora Adele, in polleria, facesse finta che il debito mensile non combaciasse, scontando così una fetta di spesa a chi intuiva in momentanea ristrettezza, senza lederne la dignità. Sembra un capitolo di «Cuore», ma era solo generosità d’animo in tempi felici.

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