La vita in Cina con la paura del contagio
Giacomo: «Ho scelto di tornare»

Giacomo Cavallanti, 27 anni, dal marzo scorso lavorava a Shenzhen: «Resto qui fino a che tornerà la normalità».

Da marzo dello scorso anno viveva in Cina, a Shenzhen, dove lavorava per una ditta tedesco-cinese che opera nel campo della logistica aeroportuale. Giacomo Cavallanti, 27 anni, di Seriate (una laurea in Economia aziendale all’Università di Bergamo nel 2015 e un master in Logistics e supply chain management in Danimarca nel 2018) è rientrato in Italia, causa emergenza Coronavirus.

Era tornato già a casa a Seriate per le vacanze di Natale e a gennaio era ripartito per la Cina, ma dopo l’esplosione dei problemi legati al virus, ha deciso di rientrare di nuovo in Italia. Un volo da Hong Kong con tappa a Mosca dove, prima di scendere dall’aereo tre medici hanno provato la febbre a tutti i passeggeri, e poi il volo fino a Malpensa. «Ho lavorato quasi 10 mesi in Cina – racconta –, a Shenzhen, una città di 13 milioni di abitanti confinante con Hong Kong. Le prime notizie sul virus hanno iniziato a diffondersi verso il 20 gennaio. In città hanno iniziato a vedersi persone con le mascherine, fatto insolito in quanto Shenzhen è una delle città meno inquinate della Cina.

Diversi media locali e internazionali parlavano di un virus non identificato e di provenienza sconosciuta che causava problemi di respirazione a persone di Wuhan nella Cina centrale, distante circa 1.000 km da Shenzhen. Mano a mano che passavano i giorni si è creata parecchia preoccupazione tra la gente. La mia ditta ha iniziato a disinfestare il palazzo dove lavoravo fornendo subito mascherine, consigliandoci di lavare bene e più volte le mani e di evitare posti affollati». La paura del contagio si è diffusa a macchia d’olio, è cresciuta giorni dopo giorno nonostante le notizie «tranquillizzanti» dei giornali locali. «I giornali si soffermavano più sugli aspetti positivi, riportavano il numero delle persone curate e la bassa percentuale di mortalità, piuttosto che evidenziare l’incremento dell’infezione e dei decessi giornalieri».

Ma gli abitanti hanno iniziato ad adottare tutta una serie di precauzioni: mascherine, spostamenti limitati. «Noi evitavamo di mangiare nei ristoranti e nelle mense affollate – racconta –. Inoltre la febbre veniva controllata alle persone nei centri commerciali, in metrò e nei luoghi molto frequentati come aeroporti e stazioni. Le autorità hanno anche posticipato il rientro dalle vacanze per il Capodanno cinese di una settimana, dal 3 al 10 febbraio, di milioni di persone allo scopo di evitare lo spostamento in massa di possibili contagiati . È infatti usanza, in occasione dei festeggiamenti del Capodanno cinese che le famiglie si spostino dalle megalopoli come Shanghai, Chongqing, Pechino e Shenzhen nei villaggi d’origine sparsi in tutta la Cina. Diverse centinaia di persone sono rientrate comunque in città, a Shenzhen all’inizio di febbraio e tra queste sono state individuate 400 persone infette. Ora risulta che il virus abbia contagiato anche 56 persone e 142 sono in osservazione nelle zone urbane di Hong Kong».

Da qui la decisione del giovane di far rientro in Italia. «Si doveva lavorare a casa per evitare contatti con altre persone, limitare gli spostamenti, non potevo neppure continuare il corso di cinese – prosegue –. Inoltre molti amici e colleghi erano a loro volta tornati in Sud America e in Europa. Per tranquillizzare anche i miei familiari, ho deciso di far rientro in Italia». «Quanto mi fermerò? Avevo scelto di lavorare in Cina per l’economia in crescita e perchè avevo la possibilità di fare un’esperienza internazionale. Ora, però, il futuro è tutto da scrivere, rimango in Italia almeno fino a quando la situazione tornerà alla normalità».

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