Quanto costa studiare all’estero?
Per le famiglie conto fino a 50 mila euro

In Europa spesa media di 8.000 euro annui. Negli Usa gli atenei più cari. E UniBg eroga contributi.

Più sono lontani, più ne risente il portafoglio di mamma e papà. Loro sono i figli all’estero, «cervelli in fuga» che se ne vanno dall’Italia per costruirsi un futuro migliore altrove. I costi affettivi di queste partenze sono incommensurabili ma esistono anche costi diretti che le famiglie sopportano per aiutare la prole a vivere lontano.

I dati Istat descrivono un fenomeno in continua espansione – nel 2018 da Bergamo sono espatriati 3.655 cittadini (la seconda provincia lombarda dopo Milano) dei quali quasi la metà sono giovani (1.764) – ma è solo la punta dell’iceberg. Infatti, non fotografa la realtà dei molti studenti che trascorrono uno o più anni di studio in paesi stranieri: dai giovani liceali che spiccano per la prima volta il volo verso l’ignoto, agli universitari che arricchiscono il loro percorso di studi con uno o due semestri di scambio internazionale previsto dal programma Erasmus, a chi sceglie di fare l’intero iter di studi, o la specializzazione presso le università estere.

I conti in tasca

Ovviamente chi paga, nella maggior parte dei casi, sono i genitori. Ma quanto spendono? Dipende da diversi fattori. Innanzitutto, la scelta di fare quest’esperienza in autonomia o rivolgendosi alle associazioni che organizzano gli scambi internazionali degli studenti. La prima soluzione è di norma più costosa sia per gli universitari, che spesso la prediligono, che per i liceali che, di solito, si affidano a organizzazioni specializzate. Oltre al periodo di permanenza i costi variano sensibilmente in base alla meta prescelta. Frequentare il quarto anno di liceo all’estero può costare da 8.000 euro in Europa, intorno ai 15.000 in Usa e in Asia, fino a oltre 23.000 in Nuova Zelanda. «La nostra organizzazione – dice Mietta Rodeschini, della Fondazione Intercultura – applica le quote di partecipazione in relazione alla capacità contributiva della famiglia, per favorire anche i ragazzi meno abbienti. Risulta pertanto difficile dare indicazioni sui costi effettivi. Nel distretto di Bergamo in media partono ogni anno 80 ragazzi, distribuiti omogeneamente tra Europa, Asia e America». Ci sono poi le borse di studio, come per i figli di dipendenti statali, che favoriscono le partenze, come racconta Lara, insegnante: «Alice, che da anni sognava di studiare in Usa, ha ottenuto una borsa di studio che copre buona parte della quota».

Erasmus ed expat

Ormai da anni si è diffuso il programma Erasmus che promuove scambi di studenti tra università. Nell’anno accademico in corso sono oltre 400 gli iscritti all’Università di Bergamo impegnati all’estero. «È realistico valutare in 8.000 euro il costo medio sostenuto dalla famiglia per mantenere il figlio all’estero», spiega Matteo Kalchschmidt, prorettore all’internazionalizzazione dell’Università di Bergamo, «il programma sostiene i costi di vitto e alloggio con una somma di circa 300 euro mensili, che la nostra Università integra con un’ulteriore quota, in relazione alla destinazione e ai relativi costi della vita, più alti nelle grandi capitali europee, meno onerosi nei Paesi dell’Est Europa. Il programma, inoltre, offre la possibilità di alloggiare nei dormitori studenteschi, ad un costo approssimativo di 150 euro al mese, e pasti nelle mense a prezzi calmierati». Infine, ci sono i veri e propri «expat», anche se non ancora iscritti all’Aire, che frequentano l’intero corso di laurea (almeno tre anni) presso una università straniera. «Nostra figlia ha fatto università e master tra Londra e gli Stati Uniti, un vero salasso, ma abbiamo preferito investire sul suo futuro piuttosto che in nuove auto o titoli di Stato che non renderanno mai quanto la felicità di Eleonora», racconta Gabriella, mamma bergamasca. Lo studio «Famiglie transnazionali dell’Italia che emigra» fornisce per la prima volta una stima dell’impatto economico che ha sulla famiglia il giovane «migrante». I risultati di questa indagine – l’unica realizzata finora – indicano una partecipazione economica molto attiva delle famiglie: circa il 20% degli intervistati dichiara di mantenere i figli e il 20% di aiutarli con rimesse periodiche. La spesa media annua di ogni famiglia è stimata in 8.000 euro che vengono impiegati principalmente per l’alloggio (35%), spese per la vita quotidiana (27%) e per i viaggi da e per l’Italia (21%). Anche in questo caso la cifra può variare sensibilmente dai tremila euro dell’Università di Cardiff (Galles) ai 50 mila euro annui per Princeton (Usa). Insomma, oltre alla sindrome del nido vuoto c’è anche quella del portafoglio.

Leggi due pagine di approfondimento su L’Eco di Bergamo di domenica 16 febbraio.

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