Rsa, il Nas bussa in Regione Lombardia
Niente zona rossa: nessuna indagine

La Procura di Bergamo bussa in Regione, dove mercoledì 29 aprile i carabinieri del Nas di Brescia sono rimasti per una giornata intera.

I militari si sono presentati negli uffici dell’assessorato al Welfare dal quale, nella persona del direttore Luigi Cajazzo, domenica 23 febbraio partì l’ordine di riaprire il pronto soccorso dell’ospedale di Alzano, chiuso poche ore prima. Ed è proprio su quanto accadde in quel convulso pomeriggio, dopo che erano arrivati i tamponi positivi dei primi due contagiati ufficiali della Bergamasca, che si concentra una delle due inchieste per epidemia e omicidio colposi aperte dal procuratore facente funzione Maria Cristina Rota, che indaga con un pool di tre sostituti.

Il pronto soccorso venne adeguatamente sanificato durante le quattro ore in cui rimase chiuso? Furono istituti percorsi dedicati per i contagiati? E poi, furono rispettati tutti i protocolli di intervento? Questi protocolli erano sufficienti a contrastare la diffusione del virus? E perché non si riuscì a individuare prima i pazienti infettati dal Covid-19? Sono le domande a cui stanno cercando di dare una risposta gli investigatori, per capire se il pronto soccorso di Alzano abbia avuto un ruolo decisivo nella diffusione del coronavirus nella nostra provincia. Agli atti della Procura è finito anche il rapporto richiesto dall’assessore regionale al Welfare Giulio Gallera e firmato da Francesco Locati, direttore generale dell’Asst Bergamo Est, da cui dipende l’ospedale di Alzano. Un documento in cui si scrive che l’Asst ha sempre deciso sulla base di indicazioni regionali e nel quale si racconta come i primi pazienti, giunti in ospedale fra il 13 e il 22 febbraio e ricoverati in Medicina generale per polmonite e insufficienza respiratoria acuta, non furono classificati come contagiati da Covid-19 perché «nessuno in tale periodo presentava le condizioni previste dal ministero della Salute per la definizione di caso sospetto».

L’altra inchiesta della Procura riguarda i 1.998 morti nelle 65 Rsa bergamasche dal 1° gennaio agli ultimi giorni di aprile. I militari del Nas anche in questo caso mercoledì hanno acquisito documentazione in Regione. Tra le carte finite agli atti c’è la delibera della Giunta regionale datata 8 marzo con cui si disponeva che, al fine di liberare posti letto, i pazienti Covid meno gravi dagli ospedali fossero trasferiti in strutture assistenziali. L’impennata del tasso di mortalità - arrivato al 32,7% - nelle Rsa bergamasche è stata alimentata anche da quella decisione? I responsabili delle strutture sostengono che i picchi si raggiunsero almeno una decina di giorni prima dei trasferimenti. La Procura vuole comunque vederci chiaro.

Non verrà invece aperto il filone sulla mancata apertura della zona rossa tra Alzano e Nembro, sulla quale si sono rimpallati le responsabilità Governo e Regione e che ai primi di marzo sembrava imminente, visto che in Bergamasca erano già stati dislocati 300 fra carabinieri e militari dell’esercito. Decisioni politiche sulle quali la magistratura di Bergamo non può mettere becco, liquida qualcuno in Procura. In piazza Dante hanno capito che, se anche su questo fronte ci fosse carne al fuoco per qualche investigazione, la competenza sarebbe di Milano o di Roma: è lì infatti che quelle decisioni (non) sono state prese.

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