«Stiamo attentissimi
Bergamo fa gola a troppi»

Il procuratore capo Francesco Dettori è andato in pensione. In questa intervista spazia dal caso Yara agli ultras, e lancia l’allarme per le infiltrazioni della criminalità organizzata.

Dottor Francesco Dettori, lei se n’è andato in pensione il 31 dicembre a 74 anni, dopo aver guidato la Procura di Bergamo dal 20 luglio 2012. La sua reggenza è stata attraversata dall’inchiesta sul delitto di Yara Gambirasio. Un’indagine destinata a fare scuola, dicono.

«Sì, è un’inchiesta che ha richiesto un’attività investigativa che, per quel che ho potuto valutare, non ha precedenti per la complessità dell’inchiesta stessa e per la ricerca tecnico-scientifica adottata».

All’epoca, quando c’era traccia soltanto di Ignoto 1 e una marea di dna da confrontare, non vi siete mai sentiti in preda allo scoramento?

«No, eravamo ottimisti, anche se con tutte le riserve dovute alla particolare tipologia del caso, strettamente e palesemente indiziario. Si lavorava con criteri investigativi tecnicamente validi. Gli unici che potessero portare a risultati, che poi sono arrivati. Ma all’epoca non c’era la certezza al 100% che si potesse arrivare a un risultato. E in più l’attività investigativa era molto costosa, tant’è vero che alla fine sono stati spesi 4/5 milioni di euro. Chissà come sarebbe andata a finire, se non avessimo preso il presunto assassino in un lasso di tempo ragionevole...».

Dunque, nessun momento di sconforto?

«Certo, difficoltà enormi ce ne sono state, non si finiva mai di analizzare le migliaia di campioni di Dna prelevati. La dottoressa Ruggeri (Letizia, titolare dell’inchiesta, ndr) era però convinta del lavoro che faceva e io non potevo che stare dalla sua parte. Non c’è mai stato un momento di dissenso».

Ora c’è il processo. La difesa dell’imputato, Massimo Bossetti, ha fatto affermazioni forti, tipo quella sui video «taroccati», gettando ombre sull’attività della Procura.

«Io non voglio scendere in polemica con la difesa. Sulla consistenza di certe valutazioni avete avuto modo voi stessi di verificare. Non c’è stato alcun taroccamento. Gli estratti dei video venivano dalla raccolta autentica dei dati, poi sintetizzati per semplificare la comunicazione».

C’è il rischio che il processo venga strumentalizzato e diventi una sorta di talk show?

«È stato troppo spettacolarizzato, su questo non c’è dubbio. Non sono favorevole ai processi paralleli, fatti attraverso i mezzi di comunicazione di massa, che si impossessano dei casi giudiziari che più interessano all’opinione pubblica e li gestiscono per soddisfare esigenze di spettacolo. Non va bene. D’altra parte c’è una libertà di opinione, di stampa e di diffusione da rispettare perché dettata da principi costituzionali. La rilevanza sociale del caso non può essere messa in discussione, dunque non possiamo impedire che i media se ne occupino. Ma dovrebbero essere più riservati, auto controllarsi e trovare la misura».

La sensazione è che l’atmosfera attorno al processo non sia delle più serene. Potrebbe influenzare ciò che accade in aula?

«No, perché la corte d’assise è gestita in maniera esemplare e con grande autorità dalla dottoressa Bertoja. E a latere c’è la dottoressa Sanesi altrettanto esperta, seria e capace».

A Bergamo c’è un’altra grossa inchiesta, molto delicata perché va a toccare uno dei centri di potere.

«Intende dire Ubi Banca?».

Sì.

«Stiamo indagando con estrema cautela, attenzione e allo stesso tempo con rigore, perché Ubi Banca non è un istituto di credito di secondo ordine».

Pressioni?

«No, siamo tranquilli e sereni. Non c’è stata pressione da nessuna parte».

Sa com’è, nelle piccole città tutto si lega.

«No, guardi. Tra l’altro continuare a vivere a Milano per me è stato importante, mi ha lasciato la totale autonomia».

Recentemente a Orio sono stati arrestati due siriani, uno dei quali è fortemente sospettato di appartenere all’Isis.

«Non c’è da preoccuparsi, io starei tranquillo. Anche perché, come vedete, i controlli sono efficaci. Grosse cose in tema di terrorismo islamico non ce ne sono state nella Bergamasca e tutte quelle che ci sono state, direi di dimensioni quasi routinarie, sono sotto controllo. Anche gli imam che erano da noi, per esempio quello di Zingonia, non è che stessero di stanza qui. E quando arrivavano, erano sistematicamente monitorati».

Ha accennato a Zingonia. Non rischia di diventare la «banlieue» di Bergamo?

«No, anche se indubbiamente c’è molta criminalità. Ma mi pare ci siano controlli. I recenti omicidi a Zingonia hanno comportato immediatamente un ampliamento dell’attenzione e una risposta repressiva efficace. Sono episodi che fortunatamente non hanno nulla a che vedere col terrorismo internazionale: erano legati a problematiche criminali interne a gruppi contrastanti. E questo, da un certo punto di vista, tranquillizza».

Come sta Bergamo a infiltrazioni mafiose?

«Eeeh, stiamo attenti. Ma posso dire che non c’è l’insediamento che si trova in altre province del Nord. Salvo qualche avvisaglia concentrata nella zona di Treviglio, direi che Bergamo è fondamentalmente esente. La presenza di criminali c’è stata e c’è, ma attentamente monitorata. La provincia è ricca e, parliamoci chiaro, fa gola. Bisogna stare attentissimi. Al momento non risulta una criminalità organizzata radicata da anni. Insomma, non incombe».

I furti restano la piaga, per i numeri e per l’impunità degli autori. Il rischio è che chi indaga li consideri reati di serie B, mentre per chi li subisce sono spesso un trauma.

«Io l’ho provato sulla mia pelle: i ladri sono entrati per due volte a casa di mia figlia a Milano. Deve essere garantito il controllo sul territorio. I ladri si trovano anche attraverso attività investigative, non solo in flagranza, però non basta. I furti bisogna prevenirli attraverso un controllo del territorio più radicale».

È una parola. La Bergamasca è tra le province più penalizzate nel rapporto tra numero di cittadini e agenti.

«La cosa che mi dà estremamente fastidio è che le nostre forze dell’ordine vengano impiegate spesso e volentieri per tutelare l’ordine pubblico in manifestazioni sportive. Non è più possibile un discorso di questo genere. Ci vorrebbe una autorità di pubblica sicurezza numericamente più ampia. Ma i numeri sono quelli che sono, e se poi le forze dell’ordine sono impegnate in compiti che non sono essenziali… Delle partite di calcio si può fare a meno, del controllo sul territorio no. Però lei lo vada a dire alle tifoserie: le salteranno addosso».

Vuol dire che bisogna abolire le partite di calcio?

«No, bisogna educare meglio le tifoserie, così da non richiedere la presenza massiva delle forze dell’ordine. Ci vuole,educazione, e-d-u-c-a-z-i-o-n-e. Ma stiamo a scherzare!? Andare a vedere una partita di calcio non deve essere un’occasione per menarsi».

Per tornare ai furti, molti uomini delle forze dell’ordine si lamentano: quando riusciamo a prendere il ladro, quest’ultimo viene scarcerato il giorno dopo.

«I furti in abitazione sono odiosi. Io aumenterei le pene, non sono dissuasive. Ma l’importante è identificare i responsabili e metterli dentro. E lasciarli dentro. Però, ora ci sono grosse difficoltà perché nelle carceri ci sono posti limitati e si tende a diminuire il numero dei detenuti».

Lei, pochi giorni prima di andare in pensione, ha presenziato in udienza al posto dei vice procuratori aggiunti che erano in sciopero. Non si è sentito sminuito?

«Niente affatto. Il tribunale non poteva permettersi di rinviare i processi. Ci tenevo a dare l’esempio. Tra l’altro, mi sono pure divertito, non lo facevo da parecchio tempo. E sono capitato con la dottoressa Bertoja che era stata mia uditrice».

Dopo un tentativo di stupro, lei raccomandò alle donne di non uscire sole la sera. E fu investito dalle polemiche. Ha riveduto il concetto nel frattempo?

«Le mie parole erano state male interpretate. Lungi da me l’idea che la donna non debba uscire da sola la notte. Il problema è che, quando esce Francesco Dettori da solo, sicuramente non viene aggredito per ragioni sessuali. Quando escono da sole la notte in determinati contesti, le donne corrono invece dei rischi. La mia preoccupazione era quella di prevenire in qualche modo, finché non si arrivi a un’educazione effettiva, che però, boh... credo sia un’utopia. Ripeto: le donne dovrebbero poter uscire la notte senza correre rischi. Ma, purtroppo, al momento non è così».

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