«La solitudine? Un problema di massa, consumiamo per riempire il vuoto della vita»

L’intervista. Stefano Bartolini, docente universitario, venerdì 23 settembre a Costa Volpino per «Sapiens Festival».

L’insostenibile leggerezza del nostro modo di vivere ha il suono di un ticchettìo sempre più pungente, ormai assordante. Il nostro mondo è ancora sostenibile? «No, siamo già nell’insostenibile», risponde Stefano Bartolini, professore associato di Economia della felicità ed Economia politica all’Università di Siena. Ci si è spinti già oltre, trascinati dalla voracità di stili di vita che riempiono col consumismo un vuoto esistenziale. Ma, aggiunge con chiarezza l’economista, «non vuol dire che sia troppo tardi per tornare indietro». Accademico e divulgatore, Bartolini sarà ospite venerdì 23 settembre alle 20,30 a Costa Volpino, all’Auditorium «Caduti del lavoro» di via Nazionale, per il sesto appuntamento di Sapiens Festival: «Dove abbiamo lasciato la felicità (noi economisti)?», è l’interrogativo che disegna il titolo della serata.

Professore, se il nostro mondo è insostenibile, noi siamo pronti a frenare?

«Le economie occidentali in realtà stanno già frenando, perché non crescono da 40 anni: è dagli anni Ottanta che al massimo la crescita del Pil è del 2%. Il problema è la “società della crescita”. Tutta la nostra società è finalizzata alla crescita economica, a partire dell’educazione dei bambini. Stiamo costruendo una mentalità votata ad avere sempre di più, iperstimolata al possesso e alla competizione. È così anche a scuola: il voto è il premio a degli sforzi competitivi. Il problema è che tutti questi bisogni non possono essere soddisfatti. E questo crea una massa incredibile di frustrati. Il prototipo del giovane di oggi diventa così quello dei fumetti di Zerocalcare».

In che senso?

«I giovani sono pieni di ansie, di insicurezze, in perenne ricerca di un’identità e di un ruolo sociale. Siamo una società della crescita, ma senza crescita economica. Il sistema economico si sta spontaneamente fermando, perché in fondo non è più sostenibile. L’idea che viene propugnata è che tutto ciò ci costerà rinunce sanguinose, che saremo meno felici».

«In Occidente stiamo producendo livelli di consumi più che sufficienti per soddisfare tutti: dobbiamo semplicemente distribuire meglio. C’è bisogno di più qualità della vita collettiva. La solitudine, invece, è diventata un problema di massa. I bambini crescono da soli in casa, non più in gruppo. Siamo di fronte a decenni di erosione delle relazioni. La desertificazione è anche relazionale, oltre che climatica. Gli studi sulla felicità ci dicono che la gente sola è più infelice e tende a consumare di più per riempire il vuoto delle proprie vite. Abbiamo dunque un eccesso di consumi, che possiamo ridurre migliorando la qualità della vita collettiva. Cambiando, vivremo meglio»

E invece?

«Quella è un’idea completamente sbagliata. In Occidente stiamo producendo livelli di consumi più che sufficienti per soddisfare tutti: dobbiamo semplicemente distribuire meglio. C’è bisogno di più qualità della vita collettiva. La solitudine, invece, è diventata un problema di massa. I bambini crescono da soli in casa, non più in gruppo. Siamo di fronte a decenni di erosione delle relazioni. La desertificazione è anche relazionale, oltre che climatica. Gli studi sulla felicità ci dicono che la gente sola è più infelice e tende a consumare di più per riempire il vuoto delle proprie vite. Abbiamo dunque un eccesso di consumi, che possiamo ridurre migliorando la qualità della vita collettiva. Cambiando, vivremo meglio. E saremo anche più sostenibili. Per questo dico che diventare sostenibili non vuol dire fare rinunce, ma vivere meglio».

Insomma: pur crescendo poco, il mondo occidentale ancora produce a sufficienza per soddisfare in teoria i bisogni di ciascuno. Il problema è allora nella distribuzione della ricchezza?

«Questo è un punto cruciale. Noi produciamo più che a sufficienza per la popolazione industrializzata, ma resistono ancora sostanziose sacche di povertà. Gli Stati Uniti sono l’esempio perfetto di quale sia il problema: la distribuzione del reddito è disastrosamente concentrata nelle mani di pochi. E la questione si pone su tanti temi concreti, pensiamo alle bollette: l’energia costa sempre di più, chi potrà permettersi di consumarla? Se il consumo dell’energia lo lasciamo decidere in base alla capacità di pagare certi prezzi, solo gente molto facoltosa potrà usare l’energia e gli altri resteranno al freddo».

«Noi produciamo più che a sufficienza per la popolazione industrializzata, ma resistono ancora sostanziose sacche di povertà. Gli Stati Uniti sono l’esempio perfetto di quale sia il problema: la distribuzione del reddito è disastrosamente concentrata nelle mani di pochi»

Nei giovani, la nuova coscienza ambientalista – e dunque la coscienza della sostenibilità – sembra più forte. C’è speranza, allora?

«I giovani hanno una sensibilità ambientale molto più elevata. Ma la domanda di una miglior qualità della vita è centrale ben oltre il mondo giovanile: il fenomeno delle grandi dimissioni, che attraversa l’intero Occidente specie tra persone di mezza età, s’inserisce in questa riflessione. È l’aspirazione a conciliare meglio vita e lavoro, uscendo dal binomio produzione-consumo. La domanda di qualità della vita è strettamente legata alla questione ambientale: se soddisfiamo una miglior qualità della vita, si produce meno e si inquina meno».

In tutto ciò, la politica e le istituzioni dove stanno?

«Il ruolo dei politici è stato dirci: Godot arriverà, tenete duro. Invece Godot non arriva. Occorre invece promuovere un cambiamento sociale a largo raggio, mollando l’utopia della crescita».

© RIPRODUZIONE RISERVATA