Mario Donizetti si racconta:
«I miei dipinti finiti in copertina»

Time», il settimanale più celebre al mondo, da decenni si serve della firma di Mario Donizetti in occasioni straordinarie per i ritratti di grandi personaggi da pubblicare in copertina. Ricordiamo fra tutti il ritratto di Giovanni Paolo II

Time», il settimanale più celebre al mondo, da decenni si serve della firma di Mario Donizetti in occasioni straordinarie per i ritratti di grandi personaggi da pubblicare in copertina. Ricordiamo fra tutti il ritratto di Giovanni Paolo II, ora conservato alla National Portrait Gallery di Washington. Ma il maestro bergamasco - definito di recente da Vittorio Sgarbi «il più grande pittore vivente» - ha visto comparire sue opere sulle prime pagine di molte altre importanti pubblicazioni internazionali.

Incontriamo Donizetti nella casa-studio di Città Alta, una antica torre che anche un documentario di Cnn International ha fatto conoscere al mondo, con lo scopo di ripercorrere, cronologicamente e supportati dalla documentazione iconografica, questa storia delle sue opere che nei decenni sono comparse sulle copertine di riviste e sulle prime pagine di quotidiani.

Quando un suo dipinto è comparso per la prima volta sulla copertina di un giornale?

«Avevo ventitré anni. C’era stata la mia prima mostra personale, a Milano, in via Brera, e Lucio Ridenti, direttore de “Il Dramma”, che era allora la più stimata rivista teatrale d’Europa, mi commissionò un volto di donna. Sulle sue copertine, mensilmente, uscivano opere di Sciltian, di Sassu, Bueno, Messina, Campigli...».

Per «Il Dramma» lei eseguì poi una serie di ritratti d’attore.

«Posarono per me Renzo Ricci, Eva Magni, Paolo Stoppa, Rina Morelli, Elena Zareschi, Sergio Tofano. Cesco Baseggio, Marta Abba, Rossella Falk, Vittorio Gassman, Edwige Feuillère, Jean Louis Barrault».

Vedo che non nomina i pur celebri ritratti da lei eseguiti a Giorgio Albertazzi, Valentina Cortese, al grande mimo Marcel Marceau...

«Furono eseguiti anch’essi per “Il Dramma”, ma non comparvero in copertina perché, quando Lucio Ridenti ne abbandonò la direzione, la rivista si trasformò in qualcosa di diverso. Il ritratto di Albertazzi e quello di Valentina Cortese comparvero in seguito su “Costume”. Quello di Marceau, anche se pubblicato su tante riviste, non ebbe mai una copertina. Non tutto quello che viene commissionato trova sempre la collocazione per cui viene eseguito. Successe con “Il Dramma”, è successo con “L’Europeo”...».

Anche con «Time»?

«Anche con “Time”».

Sulla copertina dell’Europeo comparve un ritratto di Indro Montanelli. Ce ne furono altri?

«No. Vittorio Feltri, che dirigeva il settimanale, avrebbe voluto una serie di personaggi, tanto che portò Oriana Fallaci nel mio studio a posare. Il progetto però non andò avanti. E il ritratto della Fallaci non fu pubblicato sulla copertina dell’Europeo. Anni dopo, quando Feltri dirigeva il quotidiano “Libero”, ebbe più volte la prima pagina».

Anche la rivista teatrale «Hystrio» ha dedicato una copertina a un suo ritratto, quello della primattrice del Teatro Stabile di Bolzano. Patrizia Milani. Poi ricordo sulla prima pagina di «Costume» i ritratti di Giulia Lazzarini e di Carla Fracci. Quali sono stati gli incontri più significativi con questi personaggi da cover-story?

«Dal punto di vista umano questi incontri sono stati per me tutti di grandissima importanza. Con qualcuno poi, come con Albertazzi, Valentina Cortese, la Fracci, la Lazzarini, Patrizia Milani, Rossella Falk si è anche instaurato un rapporto duraturo di amicizia».

Qualche episodio particolare?

«Marta Abba, la “divina”, la “musa ispiratrice” di Pirandello, che nella sua grande casa di Fauglia, dopo ore estenuanti di posa (le disegnai il volto sia di fronte che di tre quarti e di profilo) cucina per me piatti indimenticabili. Marcel Marceau che su uno dei miei disegni preparatori del suo ritratto traccia con mano sicura, da buon disegnatore, una correzione. E io la accetto perché molto tecnica e precisa. Oriana Fallaci che non si separava mai, a quel tempo, dallo zaino della guerra in Vietnam, cimelio per lei preziosissimo, e nel mio studio ne dimentica una cinghia. Di Jean Louis Barrault si diceva a Parigi che non avesse mai voluto posare per un ritratto e difatti mi concesse venti minuti in tutto: e però, a disegno finito, ebbe una esclamazione di elogio inaspettatamente gratificante. Papa Wojtyla, che alla mia richiesta di poter verificare da vicino il colore dei suoi occhi, si china verso di me, mi afferra un braccio consentendomi una vicinanza veramente inconsueta e con due dita dell’altra mano spalanca le palpebre di un occhio».

E di che colore erano gli occhi del Santo Padre?

«Grigio-azzurro profondo».

Il più celebre dei suoi ritratti di Papa Wojtyla, un profilo, è comparso in copertina di «Time» nel 1985, ma un altro fu pubblicato in copertina da «Famiglia cristiana» nel 1995.

«Quando il Santo Pontefice ebbe in mano la prima copia di quel settimanale mi fu riferito che esclamò: “Come mi ha fatto cattivo!”. Se riguardo i disegni non posso che ammettere di aver accentuato l’intensità dei suo sguardo. Non volevo farlo “cattivo”, ma certamente, da sempre, mi avevano molto colpito l’attenzione del suo porsi nel mondo e, soprattutto, la sua determinazione nel raggiungimento dei suoi scopi».
Jacopo Di Bugno

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