
Delta Index
Giovedì 17 Luglio 2025
Intelligenza artificiale sì, ma con giudizio: il recruiting del futuro
CAPITALE UMANO. L’Ia individua competenze e titoli in tempi record, ma bias e mancanza di empatia rendono indispensabile il controllo umano. Un equilibrio necessario per evitare candidati “tutti uguali”.
A maggio 2024 la ricerca “The AI Impact”, realizzata da Inaz, Osservatorio Imprese Lavoro e Business International, evidenziava che il 78,72% delle aziende italiane ancora non utilizzava l’intelligenza artificiale. Anche il rapporto Delta Index relativo al 2024 fotografava questa situazione e faceva emergeva una mancanza di strutturazione nel settore HR, dove solo il 25,5% delle imprese utilizzava strumenti per valutare le soft skills e il 23,4% non formalizzava nemmeno le competenze richieste per i ruoli aziendali.
Nello stesso anno nasceva Clutch, società di headhunting composta da professionisti ed esperti del settore, che fa della tecnologia e del metodo un punto di forza. Ne parliamo con la principal, Norma Ferracini. Che premette: “È ormai impossibile non utilizzare un supporto Ia ma non dobbiamo dimenticare che operiamo nel settore delle risorse umane: la componente umana è irriducibile, ineliminabile”. Il punto focale è: umano e artificiale possono essere coniugati?
Il metodo
Dei quattro momenti che l’Osservatorio Delta Index studia (attrarre, selezionare, formare e trattenere) in Clutch l’Ia entra in gioco nei primi due. Viene infatti impiegata sia nel settore sales per conoscere in tempo reale quali aziende sono in cerca di nuovi dipendenti, sia nella selezione degli headhunter per una prima scrematura dei candidati. “L’Ia sceglie in maniera oggettiva e asettica perché si basa sui dati trasferiti, non sufficienti per trovare il candidato. L’Ia ha il pregio di scovare precisamente le caratteristiche richieste ma non sa cogliere gli aspetti umani. Quindi ciò che è ripetitivo, come la ricerca di competenze e titoli, può essere svolto dalla macchina, che comunque opera sempre sotto la nostra supervisione. Tutto quello che invece ha a che fare con le persone, dalla ricerca delle soft skills alla decisone del candidato, non può essere demandato alla tecnologia perché questa manca di empatia”.
“Ciò che è ripetitivo, come la ricerca di competenze e titoli, può essere svolto dalla macchina, che comunque opera sempre sotto la nostra supervisione. Tutto quello che invece ha a che fare con le persone, dalla ricerca delle soft skills alla decisone del candidato, non può essere demandato alla tecnologia perché questa manca di empatia”
Il lavoro quindi si imposta su due binari: da un lato il supporto Ia ottimizza e velocizza la fase iniziale del processo, dall’altro l’headhunter continua ad operare in maniera tradizionale (network, referral, ecc). La macchina quindi entra in gioco dopo il momento di dialogo tra Clutch e il cliente, durante il quale emerge il profilo richiesto: l’headhunter dà in pasto le informazione all’Ia, entrando in tutti i mercati in cui l’headhunter può certo arrivare, ma con un tempistiche maggiori. Quindi l’headhunter esamina i risultati, correggendo il sistema dove necessario e valutando attentamente l’output.
Criticità dell’artificiale al vaglio
Tra i principali rischi dell’Ia ci sono i bias, cioè la possibilità che gli output siano distorti per via dei pregiudizi o delle credenze di chi imposta i sistemi. Norma tranquillizza: “Il rischio c’è, innegabilmente, per questo l’output dell’intelligenza artificiale deve essere soppesato, non preso come oro colato. Solo l’umano che governa e controlla l’ia riesce a minimizzare i rischi. Senza considerare che via via, con le correzioni dell’utente, l’Ia si perfeziona: il fatto che sempre più spesso i risultati dell’headhunter e gli output della macchina coincidano lo dimostra”. L’Ia inoltre si basa su aspetti tecnici e fattuali, le soft skills rischiano di non avere peso in questa ricerca? “Qui entra in gioco il colloquio dell’headhunter con i candidati, in cui è l’elemento umano ed empatico a far da padrone”. Non dimentichiamo poi che l’AI Act include l’impiego della macchina per la selezione del personale nei sistemi ad alto rischio. “Tutti i nostri sistemi sono compliant e questo deve essere il punto di partenza irrinunciabile”.
Risultati
I frutti di questo lavoro in Clutch sono tempistiche ridotte e supporto sostanzioso dell’Ia all’operatore. “Il tempo risparmiato nella scrematura iniziale permette di dedicare più attenzione al candidato, al cliente e alla precisone nella selezione, e questo fa la differenza”. E quando si chiede a Norma delle criticità del metodo risponde convinta: “Nulle. Anche il costo legato alla formazione e agli strumenti, che per alcuni si traduce nella rinuncia a questa tecnologia, non va considerato come tale: è un investimento senza prezzo, ora più che mai necessario”.
Quando ad utilizzare l’Ia è il candidato
Da attenzionare anche l’impiego della macchina da parte del candidato, soprattutto nella stesura dei curricula vitae e delle lettere motivazionali. Secondo il Politecnico di Milano il 26% dei candidati utilizza Ia in questa fase, primi fra tutti la Gen Z (il 57% se ne serve), seguiti dai Millenials (40%). “Oggi il candidato utilizza la tecnologia per tracciare un identikit dell’azienda e del profilo professionale che ricerca, soprattutto attraverso blog e recensioni: quindi si adopera per presentarsi come il candidato perfetto, anche se spesso non è così. Anche qui, la tecnologia ottimizza e corregge curricula in modo che siano ben strutturati e privi di errori, ma il grande rischio è che l’ia appiattisca le caratteristiche del singolo, ci renda uguali a tutti gli altri. La qualità della persona sta nelle sue competenze, nei suoi pregi e nei suoi difetti, mentre un utilizzo massiccio dell’Ia trasforma tutti in candidati anonimi”.
Il (necessario) bilanciamento tra artificiale e umano
“Dicono che l’Ia sia il futuro del settore HR, io penso sia già il presente”. Ma con le dovute cautele: un modello di selezione completamente tech non fa al caso di Clutch. “È giusto trovare un equilibrio tra metodo classico e innovativo: se si rimane sul primo si resta un passo indietro, se ci si adagia sul secondo si perdono il know-how umano, la conoscenza, l’esperienza, che in alcun modo possono essere trasferiti alla macchina”. Se si chiede a Norma quanto l’Ia cambierà le risorse umane, lei risponde subito: “L’Ia sarà solo uno, e non necessariamente il prevalente, dei cambiamenti”. E spiega: “La vera inversione di rotta si dovrà al deficit (o alla mancanza) di candidati. Il mondo del lavoro cambia in continuazione, ma il problema, più che di tecnologia, è di mancanza trasversale delle competenze”. Quindi invita a non essere titubanti: “Un buon uso, in mane esperte, dell’Ia è oggi doveroso, perché può aiutare sempre più e sempre meglio chi, per necessità, si affida a noi”.
“Non permettiamo che l’Ia deresponsabilizzi l’uomo, agiamo perché rimanga solo un supporto controllato. Ripensiamo ai modelli Hr in chiave moderna e tecnologica senza rinunciare all’elemento imprescindibile del settore: l’empatia”
Siamo a un bivio essenziale: da un lato l’utilizzo consapevole dell’Ia e dall’altro un impiego incontrollato. Non ci si può affidare in toto a una tecnologia tanto potente, di cui, per convenienza, cerchiamo di dimenticare i rischi ed è doveroso ora porre le basi di una cultura digitale che nel nostro Paese si attende da troppo. Non permettiamo che l’Ia deresponsabilizzi l’uomo, agiamo perché rimanga solo un supporto controllato. Ripensiamo ai modelli HR in chiave moderna e tecnologica senza rinunciare all’elemento imprescindibile del settore: l’empatia. L’intelligenza artificiale non può e non deve prevaricare quella umana!
Per approfondire il tema del rapporto tra AZIENDE e GENERAZIONE Z collegarsi al sito dell’Osservatorio Delta Index
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