La fatica di essere madre
quando non sei stata figlia

Provare ad essere una madre radicalmente diversa da quella che si è avuta. Possibile? «La spinta» (Rizzoli, pagine 347, euro 18), opera prima della canadese Ashley Audrain, in corso di traduzione in 34 Paesi, è un romanzo sulla maternità. Non quella fatta di amore e gridolini, ansia che i piccoli ritornino dal nido, quadretti familiari di perfezione idilliaca. Un romanzo sulla durezza, le difficoltà, le (tremende) fatiche della maternità. Almeno per chi, come Blythe, sia stata abbandonata dalla propria madre, Cecilia, quando era ancora piccola. Cecilia che, a sua volta, aveva avuto una madre con gravi problemi psichici, che spesso aveva lasciato emergere l’istinto di liberarsi di lei. Nonostante il peso di quel passato che non vuol passare, Blythe coltiva in sé un senso di attesa e di speranza, malgrado tutto. Ha trovato un uomo che è il marito e padre «perfetto», che non può rinunciare ad avere figli, figlio a sua volta di una madre «perfetta».

Proprio la formidabile antitesi fra la «facilità» affettiva della famiglia di Fox, e le difficoltà, le fatiche, gli insuccessi in cui ogni giorno si impantana Blythe, alle prese con una figlia, Violet, che sembra non volerla, respingerla, preferire smaccatamente il papà, è una delle colonne portanti di questo romanzo duro ed intenso. Il diario di un percorso dalla speranza di ritrovarsi come «gli altri» al sentire in sé il peso di una «diversità» (non si sa in che percentuali vera o supposta). Blythe non riesce a ritrovarsi dentro, in automatico, quell’intelligenza dell’amore di cui lei per prima non ha goduto. Non a caso il romanzo si struttura su piani temporali diversi: l’infanzia di Cecilia con la madre Etta, l’infanzia e adolescenza di Blythe con la madre Cecilia, la vita di Blythe alle prese con la sua propria maternità: come a suggerire i fili profondi che legano le tre storie, coazione a ripetere che si traduce di generazione in generazione. Blythe si ritrova in testa pensieri che le mamme non pensano (o almeno così crede): volontà di fuga, bisogno di riconquistare tempo per sé (la scrittura), sollievo quando lascia la bimba al nido. La mancanza di sonno (Violet si sveglia ogni due ore, neanche avesse un timer) le annebbia la mente, i nervi sono spesso al punto di rottura, il bisogno di prendersi delle pause dalla figlia, dal suo continuo implacabile esigere, la spinge a mettersi le cuffie per non sentirla. Riuscirà Blythe ad essere una madre diversa da quella che ha fatto lei?

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