Costruisce impianti per i vaccini: in Cina ha incontrato la futura moglie

Quando gli hanno proposto un lavoro a Singapore, prima di accettare Roberto Corna ha aperto l’atlante per capire bene dove lo avrebbero spedito. «Lo ammetto – dice – non sapevo neanche dove si trovava. Sono partito con la prospettiva di rimanerci un anno soltanto, invece ne sono già passati 14 e io sono ancora qui». Ma facciamo un salto indietro: Roberto Corna, 40 anni di Morengo, diventa ingegnere chimico con una laurea al Politecnico di Milano, dopo essersi diplomato all’Itis Natta di Bergamo. Prima di approdare nel Sudest asiatico viene mandato un anno in Ungheria a seguire un progetto per l’azienda Gsk. Il ramo è quello farmaceutico: «Sono un processista – racconta – e sono specializzato nella divisione farmaceutica biotech. Oggi lavoro per Exyte, una compagnia che si occupa di costruire diversi tipi di impianti farmaceutici, alimentari, ma anche semiconduttori e data center».

Partito da Morengo nel 2006, dopo la breve esperienza ungherese il giovane ingegnere bergamasco è volato a Singapore, dove ha lavorato alla realizzazione di progetti in quasi tutte le compagnie farmaceutiche del posto: Gsk vaccini, Msd, Novartis, Lonza, Amgen, Pfizer e altre ancora, «e quando me lo chiedono – dice – collaboro con altre aziende e per altri progetti in Cina, Malesia, Thailandia, Australia e Vietnam». Le mansioni di un ingegnere chimico processista non sono sempre facili da afferrare, e quando si sente parlare di Pfizer, ormai, si associa il nome dell’azienda con i vaccini anti Covid. Meglio, quindi, farsi spiegare bene: «Mi occupo della progettazione dei macchinari – spiega –. Quando un’azienda vuole costruire un impianto, insieme al team con cui lavoro progettiamo la fabbrica e io, in particolare, sono specializzato nei macchinari di processo». Dunque, non un lavoro diretto sui vaccini anti Covid, «anche se – dice ancora Roberto Corna – durante la prima fase della pandemia abbiamo aiutato con il nostro lavoro a realizzare prodotti per aiutare i pazienti con problemi respiratori».

Promosso manager, per Exyte il giovane ingegnere bergamasco lavora alla progettazione di impianti farmaceutici di start up nel settore del food & beverage, come purificatori, fermentatori, attrezzature per purificare e filtrare l’acqua. «Mi piace lavorare qui – racconta Roberto –, anche se ormai Singapore (5 milioni e mezzo di abitanti, ndr) inizia a essere un po’ stretta e non escludo, in futuro, di tornare a vivere in Italia». Sarà che da quasi due anni Roberto Corna è bloccato insieme alla sua famiglia nella città-Stato a sud della Malesia a causa del Covid e anche questo probabilmente incide sulla sua voglia di tornare a girare il mondo: «È ancora tutto molto complicato – dice – specialmente per rientrare: ancora oggi chi torna dall’estero deve scontare due settimane di quarantena in hotel o a casa. Qualche settimana fa stavano per allentare le misure, ma siccome ci sono in proporzione molti più casi che in Italia, il governo ha bloccato tutto per un altro mese».

A Singapore, racconta Roberto Corna, quasi l’80% della popolazione è vaccinata, «ma ci sono tanti asintomatici – dice – e quasi 3.500 nuovi casi al giorno. I posti nelle terapie intensive degli ospedali non sono tanti e i medici hanno ancora paura che possano riempirsi. In Cina però sono ancora più severi: per rientrare chiedono addirittura tre settimane di quarantena, due in albergo e una al proprio domicilio». In altre parole, un invito non formale a non spostarsi da casa. L’ultima volta a Bergamo per Roberto Corna risale all’estate del 2018: «L’anno scorso, durante la prima ondata di pandemia – ricorda – sono stati i miei genitori a rimanere bloccati qui per sette mesi, perché non c’erano più aerei per tornare in Italia. Avrebbero dovuto rientrare a marzo e invece sono ripartiti a luglio. Aspettiamo di capire quando tutto questa situazione finirà, poi magari l’anno prossimo, forse in primavera, torneremo». Parla al plurale, Roberto Corna, perché lontano dal suo Paese si è fatto una famiglia: «Mia moglie Lin è cinese – dice –: ci siamo conosciuti in Cina mentre lavoravo per un impianto vaccini a Shenzhen. Abbiamo due bambine, Alessia e Noemi di 6 e 5 anni. Le ho iscritte entrambe a una “scuola supplementare italiana”; seguono regolarmente le lezioni alla scuola locale, ma il sabato mattina studiano anche un po’ la nostra lingua».

Tra cinesi, indiani e indonesiani vivere e lavorare a Singapore è un po’ come trovarsi al centro del mondo: «Entriamo in contatto ogni giorno con persone di tante nazionalità – dice Roberto –; è divertente, mi trovo bene e mi sento integrato, ma anche se lavorare qui è più conveniente, tornerei senz’altro a vivere in Italia». E come a ogni italiano che abita all’estero, il nostro Paese manca, eccome: «Il permesso di soggiorno va rinnovato ogni cinque anni – dice –. Avrei la possibilità, ormai, di prendere la cittadinanza locale, ma non ci penso proprio, e anche le mie figlie, che pure sono nate qui, hanno il passaporto italiano. Io sono fiero di essere italiano e, anzi, ho scoperto di esserlo proprio da quando vivo lontano. Qui le regole si devono rispettare, altrimenti il permesso di soggiorno viene cancellato». Ma la qualità della vita, com’è? «Buona, si guadagna bene, paghiamo il 15% di tasse, ma poi per curarsi, meglio avere un’assicurazione privata personale».

In Cina, la patria della moglie Lin, o in Italia: Roberto Corna tra 10 anni s’immagina comunque lontano da Singapore: «Vedremo, non è ancora il momento di decidere – conclude –. Oggi mi capita di “rinnegare” le mie origini solo in taxi: quando i tassisti capiscono che sono italiano, mi chiedono della pizza e di Roberto Baggio. Non conoscono altro e col tempo questa cosa stufa un po’. E così dico loro che sono ungherese, tanto dell’Ungheria non sanno nulla…».

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