Mattia, l’ingegnere che
è «fuggito» in Giappone

Mattia Percassi, figlio di bancari, 25 anni, nel 2017 ha lasciato il Politecnico di Milano per Tokyo: ora ha due lauree e lunedì inizia a lavorare alla Mitsubishi.
Ha studiato Ingegneria meccanica a Milano: si era iscritto al Politecnico «proprio perché offre tante opportunità di studi all’estero. Ho sempre voluto andare fuori». Durante il terzo anno ha fatto domanda, e all’inizio del primo anno della laurea magistrale, nel settembre 2017, è partito per Tokyo. E ora ha deciso di lavorare in Giappone e di viverci. «Non volevo andare in America o in paesi anglofoni – spiega -, dato che l’inglese già lo so: al Politecnico la magistrale in italiano non esiste neppure più, almeno per Meccanica. Volevo andare lontano. E avendo praticato a lungo karate, avevo un certo interesse per il Giappone».

Ha frequentato per un paio d’anni Keio, una università storica e prestigiosa; 60 crediti dei 120 accumulati lì, ha potuto trasferirli nel suo curriculum al Politecnico; in pratica ha dovuto studiare un anno in più ma si è laureato in entrambe le università: «Ho due diplomi magistrali distinti, in due campi diversi: quello di Tokyo, ottenuto a settembre, è in Design di sistemi integrati, meccatronica».

Sbarcando in Giappone, racconta, «le prime settimane non ho sentito subito l’impatto, ero troppo impegnato a inserirmi. Poi ho cominciato ad accorgermi che qui le cose funzionano diversamente. Quello che stupisce del Giappone è la pulizia; e la qualità degli oggetti e dei luoghi. I giapponesi, per loro cultura, credono che anche le cose abbiano un’anima, dunque le trattano benissimo: treni perfetti, puliti, senza una riga sui finestrini; se compri qualcosa di usato vai sul sicuro».

Il Giappone è un Paese che funziona, conferma Mattia: «Almeno per quanto riguarda l’esteriorità: è ricco, la gente si lamenta poco, o si lamentano velatamente, in silenzio. La società appare molto rilassata, i servizi sono fantastici, nei negozi trattano benissimo i clienti. La Sanità funziona ottimamente. Però, lo dicono anche le statistiche, è un Paese molto infelice, fatto di persone sole. Un’idea importantissima per loro è non dare fastidio agli altri: nessuno ti disturba, e anche tu ovviamente non devi disturbare gli altri. Questo è positivo ma impone anche tante limitazioni: ti senti sempre a disagio. Anche per questo loro in pubblico non parlano mai di cose serie. Sono molto superficiali, non perché lo siano come persone, sono chiusi. È molto difficile entrare in contatto davvero. Vedi gli anziani vagare per strada, tante persone muoiono da sole in casa e nessuno se ne accorge... La famiglia qui conta poco».

Mattia in Giappone si è integrato «strabene», come direbbe lui. È uno sportivo, ha preso parte alla cronoscalata del Monte Fuji in bicicletta: «Mi è piaciuta tantissimo. È un simbolo conosciuto in tutto il mondo e avere la possibilità di affrontarlo in bici è stato unico. Sono arrivato nel primo terzo di classifica. In realtà una prestazione mediocre; ma è stato divertente, un’avventura più che una competizione». In bici, ok, un bergamasco se la cava, ma a lui non è bastato: ha sfidato i giapponesi anche sul loro terreno, entrando in un dojo di karate (è cintura nera 2° dan): «Il giorno del mio 23º compleanno ho fatto anche una gara: ho ricevuto tanti complimenti, per la qualità tecnica ma anche per la conoscenza della cultura giapponese, e questo lo devo agli anni passati all’Accademia Budokwai del maestro Mario Pasotti, a Bergamo».

Dopo la laurea, in pochi mesi Percassi ha trovato lavoro: «Qui non c’è disoccupazione: dichiarano un 2,5% ufficiale, ma è fisiologico, di fatto l’occupazione è praticamente totale. Però ci sono molte difficoltà per uno straniero: per tanti lavori, il giapponese preferirà sempre assumere un giapponese. Spesso il livello del loro inglese è scarso, e dovresti parlare bene la lingua locale: io l’ho studiata in università, la parlo a livello di vita quotidiana, riesco a scrivere, a mandare un’e-mail, ma non basta. Gli stranieri entrano soprattutto nel campo dell’Information technology». Oltre agli orientali, a Tokyo «ci sono tanti tedeschi, e anche francesi. Italiani pochi. Bergamaschi ne ho incontrati due».

Quando è partito non aveva l’idea di restare lì a vivere: «Pensavo che se non mi fossi trovato poi troppo bene sarei tornato in Italia e sarebbe finita così: una bella esperienza». Invece ha messo su casa con la sua ragazza, la cinese Ying Li, 24 anni, di Chifeng, a Nord di Pechino, che a marzo si laurea anche lei in Ingegneria, Elettronica: «Sono tre le ragioni che mi hanno fatto pensare che sia meglio iniziare qui. La prima è che non è semplice, e io ho avuto la chance giusta; il secondo motivo è la ragazza; terzo le condizioni economiche. Si lavora veramente tanto qui, molto più che in Germania, per intenderci. Però hai subito la possibilità di mantenerti: io vedo i miei amici di Milano che hanno fatto il Politecnico, che resta una delle migliori scuole al mondo (noi ci lamentiamo dell’università italiana ma sbagliamo), e devono accontentarsi di uno stage a 800 euro, per sei mesi. Ritagliarsi una certa autonomia in Italia è impossibile. In Giappone non si diventa ricchi però la possibilità di mantenersi da solo per un giovane esiste. E poi è un’esperienza che “farà curriculum”».

Lo ha assunto Mitsubishi Fuso, la divisione veicoli commerciali della multinazionale, ora passata sotto la tedesca Daimler: «Sono stato fortunato. Ho spedito il mio curriculum in giro, però ci sono state anche delle occasioni, conoscevo un manager dell’azienda. Ma ho fatto tutta la routine, i quattro colloqui standard»: e lo hanno preso. Inizia domani: «Lavorerò in post-vendita: controllo di qualità dei ricambi. Componenti per veicoli che vengono poi venduti anche in Europa, soprattutto i camion più piccoli». Il suo piano ora è «rimanere qualche anno. Poi mi vedrei ancora fuori dall’Italia, mi piacerebbe molto la Corea. Lì l’economia è forte. E io ho preso una strada che mi porterà a essere spendibile; soprattutto quando parlerò bene il giapponese». Un’esperienza all’estero, conclude Mattia, «ti fa crescere tanto, e in fretta. Impari presto ad assumerti la responsabilità della tua vita».

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