Per la prima volta in corsia durante la pandemia, ora medico in Africa

LA STORIA. Al lavoro a Casamance in Senegal, Francesco Pezzoli: «Qui ho imparato a capire quanto abbiamo in Italia». Il rientro per la specializzazione al Mayer di Firenze.

«Fin da ragazzo ho sempre voluto studiare per diventare medico. Poi durante il corso di laurea mi sono appassionato alla Pediatria e alla cura dei più piccoli. Così dopo il concorso nazionale per accedere alla specializzazione mi sono trasferito a Firenze per proseguire il mio percorso di studi presso l’ospedale pediatrico “Meyer”». Francesco Pezzoli, ventinovenne di Fiorano al Serio, racconta così la passione che da sempre lo guida nella sua volontà di voler essere medico prima e pediatra poi e il percorso che lo ha portato oggi a essere in Senegal, nella regione della Casamance, per un progetto di cooperazione in ambito sanitario con l’Ospedale «Meyer» e il Centro salute globale della Regione Toscana.

La scuola ad Alzano

«Ho frequentato il liceo scientifico “Amaldi” ad Alzano Lombardo – racconta Francesco –, dove ho conseguito la maturità nel 2012. Sono cresciuto a Fiorano in una famiglia numerosa e sono il primo di cinque fratelli maschi. Dopo il liceo mi sono trasferito a Brescia per gli studi universitari e lì ho conosciuto la mia compagna, Francesca Verga, anche lei medico». Dopo la laurea in Medicina e chirurgia all’Università degli Studi di Brescia (laureato nel 2018), Francesco ha lavorato anche in una Rsa durante la fase più complicata dell’arrivo del Covid-19. Era il 2020 e non è stata una situazione facile, come ricordiamo bene tutti. «Prima di iniziare la specializzazione – spiega il medico – ho lavorato qualche mese in una casa di riposo della Val Seriana. Ho iniziato proprio nel pieno della pandemia, periodo certamente non facile e in cui io e tutti i miei colleghi neolaureati come me ci siamo cimentati spesso in prove più grandi di noi, a cui non eravamo forse pronti».

A Granada per l’Erasmus

Un’esperienza, quella vissuta durante la pandemia, che ha comunque lasciato a Francesco qualche insegnamento e qualcosa di positivo. «Devo molto a quell’esperienza – conferma infatti lui stesso – che seppur difficile mi ha temprato per le sfide successive». Durante la sua vita fino a oggi Francesco ha avuto modo di fare spesso esperienze all’estero: «Ho trascorso il mio quarto anno di liceo negli Stati Uniti – dice –, poi sono stato un mese a Budapest durante l’università a fare un tirocinio in Chirurgia generale. E ho fatto anche l’Erasmus a Granada per sei mesi». Poi Francesco ha deciso di proseguire il suo percorso di studi all’ospedale «Meyer» di Firenze per la specializzazione in Pediatria.

Si è trasferito a Firenze a gennaio 2021, quando ha iniziato la specializzazione, che finirà a gennaio 2026. Ora, da tre mesi, come detto, Francesco si trova in Senegal, nella regione della Casamance, per un progetto di cooperazione in ambito sanitario. «Sono partito alla fine di settembre – racconta ancora il medico –. Il progetto di cui faccio parte prevede che a turno due medici restino per quattro mesi nella città di Sedhiou ad affiancare l’unico pediatra presente qui in tutta la regione e che lavora presso l’ospedale regionale da poco costruito, nel 2020».

Vivere in Senegal

Ambientarsi in Senegal non è stato facile: la realtà che Francesco ha trovato lì, infatti, è completamente diversa da qualsiasi altra che aveva mai vissuto prima. «Sono partito insieme a un mio collega – spiega – e dopo una settimana trascorsa con i due colleghi che ci hanno preceduti, loro sono rientrati a casa e siamo rimasti qui noi due. L’impatto iniziale è stato molto forte. Un anno fa circa sono stato per un breve periodo, di due settimane, in Etiopia a fare un’esperienza sul campo in una zona rurale, quindi un minimo di esperienza già l’avevo. Arrivato qui mi sono però trovato ad affrontare situazioni veramente difficili e in un contesto che, seppur completamente diverso dal nostro, permette di avere a disposizione risorse differenti (e ahimè non sempre adeguate); cosa che è certamente avvincente ma d’altro canto che rende più complessa l’attività professionale. Qui in ospedale però ho la fortuna di lavorare con colleghi e infermieri locali davvero validi e che mi insegnano tanto».

Nonostante la situazione in Senegal non sia semplice, Francesco è però riuscito ad ambientarsi in qualche modo e a trarre il meglio che può da questa esperienza che sta vivendo. «Come ci si può immaginare – continua –, il contesto qui è molto differente dal nostro e inoltre all’interno di questo si dipanano moltissime situazioni e condizioni differenti, dal piccolo villaggio sperduto nella “brusse” (i territori più lontani nella campagna), dove gli abitanti non hanno né acqua corrente né elettricità se non qualche pannello solare, alla metropoli di Dakar, dove si può tranquillamente vivere una vita “occidentale”. Nel paese dove vivo io la vita è un’ottima via di mezzo, in cui quotidianamente si riesce ad assaporare l’autenticità del luogo (dagli animali che scorrazzano liberi per le strade, ai bambini che giocano a calcio a ogni angolo della città, fino al mercato locale dove si possono acquistare frutta e verdura raccolta dai locali in giro per la campagna), ma dall’altro lato non si soffrono troppe mancanze. Certo mancano elettrodomestici, supermercati veri e propri e tante altre cose, ma è una delle tante lezioni che l’Africa ti regala, il capire cosa davvero è importante nella vita».

Le persone, prosegue a raccontare Francesco, «sono sempre amichevoli, accoglienti e il senso della comunità è molto forte. Ogni giorno ho la fortuna di poter imparare qualcosa, assistere a un gesto solidale o vedere come ostacoli che sembrano insormontabili vengano superati nonostante tutto». L’Italia però, vista la grande differenza che sta vivendo, manca. «Delle varie esperienze che ho fatto – conferma – questa è certamente la più “forte”. Seppur relativamente breve, in un certo senso mi manca di più l’Italia ora che altre volte. Stando qui si capisce quanto siamo fortunati e quanto spesso diamo per scontate cose che per un’enorme fetta del mondo non lo sono assolutamente. Per fortuna qui ho l’accesso a Internet e quindi riesco facilmente a sentire sia la mia famiglia che la mia compagna. Molti dei miei amici sono o sono stati in giro per il mondo per varie esperienze, e ora che sono io a essere lontano la loro vicinanza seppur virtuale mi ha aiutato tantissimo».

Il futuro

E il futuro? «Tornerò in Italia a fine gennaio, il 31 – conclude –. Sicuramente quest’esperienza dal punto di vista lavorativo e formativo è una grande occasione che mi sta permettendo di crescere. Spero di avere in futuro altre possibilità come questa. Non so ancora se mi piacerebbe tornare a Bergamo o dove mi porterà la mia vita, vedremo. Fare il mestiere di medico in Italia può voler dire abbracciare quell’idea di sanità universale e accessibile a tutti che ogni anno vedo però diventare sempre più lontana e meno inclusiva. Avendo iniziato a lavorare durante la pandemia ho avuto l’iniziale illusione che l’attenzione dedicata al tema della sanità fosse molto più di quella che ahimè effettivamente si è dimostrata poi. Il Covid purtroppo non ci ha insegnato molto, ma sta a noi giovani professionisti combattere perché il diritto alle cure torni a essere una realtà. Il 5 dicembre si è svolto uno sciopero a livello nazionale per mettere al centro ancora una volta alla classe politica e ai media l’importanza del nostro sistema sanitario».

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