«Il sogno americano
esiste ancora
Ma basta razzismo»

An American Dream. La convinzione che attraverso il duro lavoro, il coraggio e la determinazione sia possibile raggiungere i propri sogni e una vita ricca di felicità e prosperità economica. Questo era il sogno americano, la speranza di una vita migliore, a cavallo tra il XIX e il XX secolo. E questo, una vita felice e prospera ottenuta grazie al duro lavoro, al coraggio e alla determinazione, è quello che ha vissuto Piero Massimino, 42 anni, figlio di siciliani, ma bergamasco d’adozione, che dal 2010 vive e lavora a New York. An American Dream per certi versi inaspettato.

«Mio padre – racconta – lavorava per la Banca nazionale del lavoro e cambiavamo spesso città quando ero piccolo per seguirlo nel suo lavoro. Infatti, sono nato a Forlì e quando sono arrivato a Bergamo, all’età di 7 anni, avevo già vissuto in tre città diverse. Nella Bergamasca, però, ho vissuto tutto il mio periodo formativo e la considero casa mia. Anche per questo definisco la mia una storia americana fin da quando ero a Bergamo. Perché agli americani piace che gli immigrati nel loro Paese diventino più americani di loro e che poi li rappresentino nel mondo. E a me è successo così con Bergamo. Quando sono arrivato in America ho beneficiato dei contatti di Massimo Fabretti che era direttore dell’Ente Bergamaschi nel Mondo. Poi, da Bergamasco nel Mondo, mi sono offerto di diventare il punto di riferimento dell’associazione a New York».

«Che mi trasferissi in America non era programmato – continua –. Dopo aver frequentato le scuole a Bergamo, durante l’università ho avuto modo di studiare in Germania e pensavo che avrei cercato lavoro lì dopo la laurea in Giurisprudenza, perché mi ero trovato bene e conoscevo la lingua. Dopo essermi laureato, però, sono venuto in America in vacanza a trovare mio cugino Fabio e in quell’occasione ho conosciuto una ragazza argentina, Mariela, che viveva qui e abbiamo iniziato una relazione, per un po’ a distanza, ma che alla fine mi ha portato a trasferirmi a New York nel 2010. E oggi, quella donna è mia moglie da 5 anni». All’inizio, in America, non è stato facile, ma Piero ha lavorato duro, ha studiato e oggi, come detto, può dire di aver realizzato il proprio American Dream. «Appena arrivato a New York ho subito conseguito un master che mi abilitasse alla professione di avvocato in America. Non è stato semplice, ma grazie alla formazione avuta in Italia e all’allenamento mentale delle scuole bergamasche, a cui sarò sempre grato per tutto quello che mi hanno insegnato e che considero di alto livello rispetto al resto del mondo, sono riuscito a superare anche il difficile esame di abilitazione. Una volta abilitato ho lavorato per un periodo per un avvocato italiano e poi con una persona che assisteva italiani che investivano in America, grazie alla quale ho conosciuto Andrew Brenta, milanese, e Francesco Cirillo, di Vicenza, i miei due partner attuali, con i quali ho aperto, a fine 2015, la UBIQ New York. Il nostro lavoro consiste nell’assistere chi investe a New York in immobili. Abbiamo clienti italiani, ma non solo, anche americani, sudamericani e provenienti da tanti altri Paesi».

An American Dream che, però, oggi per molti è diventato solo un’enfatizzazione del benessere materiale come misura del successo e della felicità. E che, a volte, anche a Piero e a sua moglie calza stretto e poco su misura. Tanto da sognare di tornare in Italia, prima o poi. «Vivendo qui ho rivalutato tante cose dell’Italia, l’istruzione in primis e la sanità. Ho visto in prima persona quanto sia cara e inefficiente la sanità americana anche ad alti livelli. L’Italia e Bergamo è una possibilità a cui io e mia moglie pensiamo sempre per il futuro. E quando io ho dei momenti di crisi riguardo lo stile di vita americano, quando sono stanco del materialismo che viviamo e vediamo o della sanità incentrata solo sul profitto, lei li condivide. La crisi degli ultimi tempi, poi, che è sanitaria, ma anche economica e civile, sta accentuando una realtà già esistente e mostra l’anima violenta della cultura americana. Una cultura che considera la violenza un’opzione come le altre per risolvere una controversia. Mentre per noi italiani la violenza non è legittima. Gli americani non si rendono conto di quanto la normalità della loro violenza sia in realtà anormale: ci sono reality registrati in prigione che mostrano spettacoli di vera violenza. E anche gli ultimi fatti successi, l’uccisione di George Floyd, ma anche l’anziano spinto a terra a Buffalo, lo dimostrano. È una questione culturale che io e mia moglie non condividiamo sicuramente. E quando vediamo questa America pensiamo di volercene andare prima o poi. E il sogno sarebbe l’Italia, Bergamo».

An American Dream, quindi, fatto anche di tante difficoltà da superare, quello di Piero, come durante il lockdown dovuto al Coronavirus. «Non è stato facile viverlo qui, così lontano da mio padre, che ora vive a Treviglio, e dai miei amici che comunque ho ancora a Bergamo. Così come non è stato facile viverlo senza la mia famiglia americana, quella formata dai nostri amici che vivono qui, persone veramente incredibili, che vengono da tutto il mondo (Argentina, Italia, Armenia, Siria, e così via) e che io e mia moglie abbiamo avuto la fortuna di incontrare e che ci hanno aiutato a rimanere qui e ad avere una qualità di vita che altrimenti non avremmo avuto. Sono stati due mesi in cui la città ha avuto molta paura, con le stesse scene di ospedali al collasso, code di ambulanze e infermieri e medici esausti viste a Bergamo, ma che gli abitanti hanno vissuto in modo molto disciplinato. Ora vedremo come cambierà la città e il lavoro dopo la riapertura. Ci saranno sicuramente nuove sfide. Sfide che io, con mia moglie, i miei partner e i miei amici, continueremo ad affrontare e, spero, a vincere».

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