A Bergamo nuove povertà dopo il Covid
Dal Comune aiutate 1.600 famiglie

Da marzo ad agosto 6 mila accessi ai servizi del Comune di Bergamo. Quasi la metà da parte di italiani che hanno perso il reddito.

Giovani adulti, italiani, con occupazione resa precaria dalla pandemia. Questo l’identikit dei nuovi poveri, che si sono rivolti al servizio sociale del Comune di Bergamo. «Sono elementi che osserviamo come novità e degni di attenzione – sottolinea l’assessore alle politiche sociali Marcella Messina -. È chiaro che il servizio sociale può sostenere le famiglie nella difficoltà momentanea con risorse economiche, ma una risposta vera non può essere solo di tipo assistenziale. Deve arrivare da politiche attive del lavoro che offrano risposte di carattere strutturale».

Tra marzo e agosto, data l’emergenza, è stata istituita una Unità di crisi che, in accordo con tutte le altre forze presenti sul territorio (vigili, uffici anagrafe, Ats), si è quotidianamente impegnata nel rispondere alle molteplici e diversificate richieste dei cittadini. Il 65% è arrivata da persone che per la prima volta si rivolgevano al servizio sociale; gli accessi sono stati complessivamente oltre 6000. Sono stati quindi quasi 4000 gli accessi da parte di circa 1600 famiglie, che mai prima avevano avuto bisogno del servizio sociale e che invece hanno potuto essere aiutate grazie a 500mila euro del Fondo Mutuo Soccorso, che permette di dare contributi tra i 300 e 500 euro a seconda del numero di componenti del nucleo familiare. Attraverso l’unità di crisi abbiamo anche voluto creare una rete tra i diversi soggetti che erogano aiuti per evitare che potessero essere dati alle stesse persone».

Per circa la metà (circa 2373) è stata garantita una presa in carico semplice e sono state erogate risposte immediate (buoni spesa, buoni pasto, bollette).

L’indagine di palazzo Frizzoni

Un’analisi più dettagliata compiuta su un campione di 268 persone fa emergere la situazione di chi risente degli effetti del lockdown, con la riduzione del lavoro. La metà dei soggetti ha una età compresa tra i 30 e i 50 anni, il dato arriva a circa il 75% se si amplia a 64 anni, quindi una fascia d’età giovane e in piena attività lavorativa; quasi la metà dei soggetti è di nazionalità italiana (124), per le persone di origini straniere prevale la cittadinanza marocchina (28), boliviana (22) e bengalese (15). In generale si tratta per la maggior parte (65%) di persone che non sono mai state prese in carico dal servizio sociale: infine per il 70% le richieste arrivano da chi non possiede immobili o risparmi che permettano di affrontare una crisi economica. Le richieste di aiuto sono giunto in particolare da alcuni quartieri della città, con prevalenza dalla Celadina (37), da Santa Caterina (21) e da Loreto (20).

In crisi anche i redditi «medi»

Il trend delle richieste nelle prime sei settimane di Covid, cioè dalla metà di marzo, si è mantenuto costante e vicino alle 400 domande giornaliere. Nelle settimane successive, si è ridotto al 50%, ma è rimasto comunque alto fino alla fine di maggio. Le persone ricontattare dall’Unità di crisi sono state circa 300 in tre mesi. Tutt’ora sono in corso colloqui di approfondimento di nuclei sia conosciuti ai Servizi che nuovi, per verificare la condizione attuale. Trecento in tre mesi significa il 10% delle prese in carico annualmente dal Comune. Un dato significativo e rilevante che, secondo l’amministrazione, meriterà nei prossimi mesi una lettura nuova.

Se l’attuale crisi rischia di fare scivolare nella povertà una parte della popolazione, la difficile situazione economica sta rendendo le famiglie povere sempre più povere. Stanno diventando croniche le condizioni di disagio di chi aveva già prima dell’emergenza sanitaria un Isee inferiore a 10 mila euro. «Sono persone – spiegano dall’assessorato – che, per esempio, risultano beneficiari del reddito di cittadinanza e che portano ai Servizi una grave difficoltà economica vista la mancata ripresa dei lavori sommersi (badanti, pulizie, ecc) che svolgevano. Questi nuclei oltre ad avere accesso ai vari bandi Covid locali, regionali, ministeriali sono spesso persone che hanno una certa età e che quindi non potranno essere ricollocati al lavoro. Non essendo in condizione di riprendere la loro attività in nero, graviteranno intorno ai Servizi sociali in modo importante visto che il loro reddito non risulta sufficiente a coprire le spese fondamentali come affitto, casa, utenze cibo».

Ma in alcuni casi anche famiglie che si trovavano fino al lockdown in una fascia di reddito considerata media (Isee fino a 22/25 mila euro) ora non riescono più a coprire spese che normalmente affrontavano in autonomia. «Sono quei cittadini – chiarisce lo studio dell’assessorato - che hanno perso uno dei due lavori, che hanno fatto fatica perché la cassa integrazione se non anticipata dai datori di lavoro non è arrivata per mesi».

Le domande pervenute per il sostegno affitto sono state più di 600, quelle per il bando Covid ad oggi ancora aperto circa 100, quelle per il fondo famiglia 500. Si tratta di oltre 1000 persone che prima non chiedevano nulla e che ora hanno domandato un aiuto, tra loro anche piccoli artigiani o negozianti o persone che gestivano bancarelle e mercati che si sono trovati a chiudere l’attività. I dati, quindi, evidenziano ancora una volta che il nodo vedo riguarda l’occupazione.

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