Addio a Baran Ciagà, l’architetto
che cambiò la città negli anni ’60

Si è spento a 86 anni. Lunedì 10 febbraio i funerali. La figlia Leyla: «Una passione viscerale per il suo lavoro».

«Baran Ciagà, architetto. La comunione tra le arti». Il titolo della mostra a lui dedicata, nell’ex Ateneo in Città Alta il dicembre scorso, oggi ha il sapore dell’epitaffio. Autore di oltre 150 progetti, molti dei quali cambiarono Bergamo e le sue periferie nel periodo compreso tra la seconda metà degli anni ’60 e i primi anni del XXI secolo, l’architetto venuto da Istanbul si è spento ieri, a 86 anni, all’ospedale Papa Giovanni XXIII, dove era ricoverato dal 22 gennaio scorso.

«La sua storia è bellissima», racconta la figlia Leyla, architetto ed ex assessore di Palafrizzoni, raccogliendo nella voce tutta la tenerezza verso un padre che le ha trasmesso «la passione viscerale per l’architettura». Una vita, quella di Baran Ciagà, dove i successi professionali si intrecciano a scelte originali e coraggiose. «Mio papà – racconta Leyla – è nato a Istanbul nel 1934 da una famiglia dell’alta borghesia, di avvocati e giuristi. Lui invece preferì venire in Europa a studiare architettura. Negli anni ’50 gli studenti stranieri al Politecnico di Milano si contavano sulle dita di una mano».

Poi il colpo di fulmine per Rosy, la bellissima ragazza di Bergamo, incontrata «sul mitico muretto di Alassio». «È rimasto in Italia per lei – riprende il filo dei ricordi la figlia –. E quando mio papà è dovuto tornare in Turchia per i due anni di servizio militare, mia mamma l’ha accompagnato, da sola e con me piccolina al seguito. Non si è fatta spaventare e ha imparato anche la lingua». Infine il ritorno in città, la casa nel quartiere di Santa Lucia, la cittadinanza concessa dal presidente Pertini, il lavoro in un crescendo di fervore creativo. Soprattutto all’interno del celebre sodalizio con Walter Barbero, Giuseppe Gambirasio e Giorgio Zenoni che, dal 1968 e per circa 15 anni, ha lasciato l’«impronta» in progetti pubblicati su riviste internazionali o realizzati.

Dalla scuola «Sorelle Cittadini» di Curno all’«Edificio Mobili Bergamo». Una ricerca segnata dalla «contaminazione dei saperi e dal lavoro di gruppo con architetti e artisti», perché come scriveva Leyla, curatrice della mostra del dicembre scorso, «la ricerca di un rapporto fecondo di comunione tra le arti e la convinzione che il lavoro di squadra esprima un potenziale superiore rispetto al lavoro individuale rappresentano le caratteristiche peculiari della sua attività». «Secondo me – rafforzava il concetto Baran Ciagà – il bello del lavoro di gruppo era che nessuno di noi si sentiva mai solo e questo dava a ciascuno più coraggio anche nel pensare cose nuove». Un messaggio di unione, che fa sentire meno soli. Anche lunedì 10 febbraio quando alle 11, nella sala del commiato del cimitero di Bergamo, ci sarà l’ultimo saluto.

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